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mercoledì 6 febbraio 2008

Usa, è crisi per i "santuari" della ghettizzazione. Uno ad uno chiudono i locali gay. Le cause? Internet e l'integrazione.

Uno spogliarellista si esibisce al Gay Club Splash di New York.

Welcome to Internet City.
Bar gay e pornoshop. Tower Records e Blockbuster. Uno a uno, spengono le luci. Travolti dall'impatto della Rete sulle abitudini dei consumatori. Che i loro oggetti del desiderio ora li cercano on line.


(Enrico Pedemonte - Espresso) A Boston prima ha chiuso il Napoleon Club, tradizionale ritrovo gay, nei pressi di Park Square. Poi il video bar Luxor, preferito dai giovanissimi. E poi Buddies, Chaps, Sporters, PlayLand, e almeno altri 15, simboli di un'epoca in cui i bar gay erano il punto di raccolta di persone che si ritrovavano per rivendicare insieme la propria identità e il diritto a esistere come comunità. I bar gay negli Stati Uniti stanno sparendo. Scompaiono da Boston, ma diventano mosche bianche a New York e persino a San Francisco, dove nel quartiere di Castro prospera da decenni la comunità gay più cospicua d'America. Robert David Sullivan, uno scrittore gay che ha scritto lunghe inchieste sull'argomento sul 'Boston Globe', sostiene che il fenomeno è irreversibile.

Perché chiudono i bar gay? Certo ha un peso il fatto che gli omosessuali siano sempre più integrati nella vita collettiva. Ma la causa principale è un'altra: Internet. I giovani omosessuali non hanno più bisogno di sedersi al bancone di un bar per riconoscersi, né di andare nei bagni pubblici o nelle saune per incontrarsi. Oggi si cercano sulle pagine di Facebook o di MySpace, si scambiano messaggini attraverso le finestre di Messenger, continuano a parlarsi sugli schermi di Skype, dove grazie alla webcam ci si può anche guardare in faccia e verificare più a fondo se c'è la voglia di approfondire il rapporto.

Ma i bar gay non sono l'unica mutazione indotta da Internet nelle città americane. Una dozzina di anni dopo essere diventata uno strumento di comunicazione di massa, la grande rete comincia a cambiare non solo le abitudini sociali e il mondo del lavoro, ma la vita commerciale, le tipologie di negozi e la geografia stessa delle città. Alcuni cambiamenti sono visibili e certificati dalle statistiche, altri sono ancora embrionali, e si possono dedurre da piccoli segnali che emergono qua e là dalle cronache.

A New York le strade periferiche delle città, le strade tradizionalmente battute dalle prostitute per cercare clienti, sono oggi meno frequentate di ieri, perché un numero crescente di professioniste sta spostando il proprio business sul Web. Stanno a casa, sedute come impiegate davanti al computer, aspettando che qualcuno risponda alle inserzioni pubblicate su Craigslist, il servizio Internet che decine di milioni di americani usano per risolvere problemi concreti a livello locale, vendere un'auto, trovare una casa da affittare o cercare compagnia per una sera. Le prostitute si spostano in tournée da un posto all'altro, spesso affittano una stanza in un motel vicino a un aeroporto, dove è maggiore il via vai di uomini d'affari soli, mettono inserzioni su Craigslist cercando di intercettare quel particolare mercato di nicchia, fissano un pacchetto di appuntamenti e poi si spostano: altra zona, altro aeroporto, altra identità virtuale.

Richard McGuire, capo-detective impegnato nella lotta alla prostituzione nella Contea di Nassau, nell'area metropolitana di New York, dice al 'Times' che "Craigslist è diventato quello che negli anni Ottanta era la 42esima strada", cioè il posto dove si va a cercare una prostituta, un filmino hard o quei prodotti particolari che un tempo si vendevano solo nei pornoshop. "Oggi la maggior parte della domanda e dell'offerta si è spostata su Internet", dice McGuire.

Segnali che la prostituzione di strada e i pornoshop sono in calo arrivano da molte città, da Washington e Baltimora, da Dallas e Tampa, dove la polizia annuncia la creazione di reparti specializzati nella caccia alle prostitute on line perché il mercato del sesso si sta spostando dalle strade delle periferie all'autostrada elettronica, usando una metafora ormai abusata sia dai poliziotti sia dai giornalisti.

Chris Anderson, direttore di 'Wired', per spiegare l'impatto socio-culturale del commercio on line ha costruito la teoria della 'long tail', 'la lunga coda'. L'ipotesi di Anderson è che Internet consenta l'apertura di mercati marginali che fino a ieri non sarebbero stati concepibili: la maggioranza dei libri venduti da Amazon, il gigante delle vendite on line, è costituita da volumi che nella classifica delle vendite sono oltre il 130millesimo posto, cioè da libri che non sarebbe stato possibile trovare nelle librerie per assoluta mancanza di spazio. Una delle conseguenze più ovvie della teoria di Anderson è che Internet non consente solo di aumentare l'efficienza nel distribuire molti prodotti di massa (libri di grande diffusione, computer, musica, eccetera), ma soprattutto rappresenta il trionfo dei mercati di nicchia, consentendo a ciascuno di soddisfare i propri desideri particolarissimi. E queste due tendenze, messe insieme, stanno provocando grandi cambiamenti nella geografia delle città, andando ben al di là del commercio del sesso.

Recentemente la Bbc ha pubblicato un'inchiesta sulla scomparsa dalle strade londinesi di centinaia di negozi specializzati che vendevano vecchi cd, dischi di vinile, libri rari. Un fenomeno analogo è in corso a New York. Pochi giorni fa il 'Times' ha segnalato la fine imminente di due storici negozi musicali di Harlem, la Bobby's Happy House e la Harlem Record Shack, entrambi nei dintorni del celeberrimo Apollo Theatre, ed entrambi soffocati, oltre che dall'aumento degli affitti, dal calo del mercato musicale e dalla fuga dei giovani che su Internet non solo scaricano la musica gratis, ma approfondiscono a piacere le proprie preferenze. Nella stessa zona di Harlem, considerata la culla della cultura nera di New York, negli ultimi due anni hanno già chiuso altri due storici negozi musicali, Hmv e Wiz.

Più a sud, nell'Upper West Side, molti turisti vanno ancora in cerca di Tower Records, un immenso negozio di musica che fino a un anno fa sorgeva su Broadway a poche decine di metri dal Lincoln Center, il tempio della musica colta di New York. Per decenni Tower Records è stato il principale punto di attrazione dei musicofili della città, specie di quelli appassionati di musica classica. Ora non c'è più, inghiottito dalla crisi del mercato musicale. Un anno fa la chiusura dei suoi 89 negozi sparsi negli States ha fatto sensazione, perché quella chiusura ha eliminato dal panorama commerciale un punto di specializzazione che oggi può essere colmato solo andando sul Web.

A poca distanza da Tower Records, sono accadute altre cose importanti negli ultimi mesi. Sette strade più a sud è appena stato chiuso l'enorme superstore di CompUsa, uno dei più importanti punti di vendita di computer di New York. La stessa sorte hanno subito tutti i 128 negozi CompUsa sparsi negli Stati Uniti. La ragione del fallimento? Le vendite di elettronica - dai pc al software ai televisori digitali - avvengono ormai per il 40 per cento su Internet, i consumatori si sono abituati a confrontare modelli e prezzi sul Web e sempre più spesso si tengono alla larga dai negozi. La storica concorrente di CompUsa, CircuitCity, mantiene la sua postazione più a nord, sempre su Broadway all'altezza della 80esima, ma a livello nazionale è stata obbligata anch'essa a chiudere 70 grandi supermarket dell'elettronica. Ci sono città in cui questo processo ha ormai raggiunto livelli estremi. Per esempio a San Francisco, che è probabilmente la città americana dove la cultura high tech è più diffusa, è ormai raro incontrare un negozio di computer se si va in giro per la città. Comprare su Internet costa meno e la maggior parte dei consumatori usa i negozi di computer solo per le emergenze, alla stregua delle farmacie notturne, quando non si può aspettare un giorno o due per la consegna.

Risalendo su Broadway di sole tre strade si scopre che un enorme negozio di Blockbuster, che fino a pochi mesi fa affittava e vendeva film agli abitanti del quartiere, non c'è più. Anche Blockbuster sente la concorrenza di Internet, e dopo anni di supremazia nel noleggio di videocassette e Dvd, sta chiudendo centinaia di negozi. Il concorrente più temibile è Netflix, che non ha punti vendita, consente di affittare film via Internet - con un catalogo assai più vasto che copre tutti gli interessi possibili - e li fa arrivare direttamente a casa.

Anche le librerie chiudono. Non solo quelle specializzate e indipendenti che sono in calo ormai da vent'anni. Oggi persino un colosso come Border's è stato obbligato a smantellare 300 megastore in tutti gli Stati Uniti, ed è paradossale che, per accelerare la transizione verso il mercato digitale, abbia affidato le proprie vendite su Internet all'infrastruttura di Amazon, il gigante del commercio online che è all'origine della crisi dei negozi di libri.

Una delle cose che saltano più all'occhio ai turisti europei che passeggiano nelle strade delle grandi città americane è la standardizzazione delle catene commerciali: un susseguirsi monotono di McDonald's e Barnes & Nobles, Banana Republic e farmacie Cvs, tutte uguali, con le stesse merci disposte nello stesso modo sugli scaffali. Recentemente il giornalista Jerilou Hammett ha scritto un libro sostenendo che New York sta diventando come le tradizionali aree suburbane, una sequenza di catene commerciali senz'anima che si ripetono in modo identico in ogni quartiere. Dalle strade scompaiono i piccoli negozi alternativi, le librerie specializzate, i locali atipici. La città diventa la rappresentazione della norma. Le attività marginali e minoritarie migrano su Internet, dove gli individui possono trovare la rappresentazione dei propri gusti individuali. Ma se siete per strada e volete un espresso non avete scelta: entrate in uno degli 8.505 bar della catena Starbucks e non temete sorprese. L'espresso è uguale dappertutto, e non è granché.

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