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martedì 23 ottobre 2007

Shirin Ebadi: in Iran, fra censura e impiccagioni.

(Giovanni Porzio - Panorama da Teheran) La targa del Nobel è su uno scaffale dello studio dove Shirin Ebadi continua a scrivere, telefonare, firmare appelli a favore delle donne e dei diritti civili calpestati dal regime. Sulla scrivania, le carte dei processi e le lettere dei clienti, che lei difende gratuitamente.
Censura, arresti, chiusura dei giornali: il governo sta accentuando le misure repressive?
Negli ultimi due anni la situazione è peggiorata, soprattutto per le donne. La polizia le aggredisce perché «malvestite». In luglio una manifestazione contro la discriminazione è stata dispersa e 70 donne sono state arrestate, condannate alla flagellazione e a lunghe pene detentive. Le ho difese: erano accusate di avere messo a repentaglio la sicurezza nazionale! Ho detto al giudice: se mi batto contro la poligamia e rivendico gli stessi diritti di mio fratello, il nemico ci attaccherà? Ora il dossier è in Cassazione.
La repressione non colpisce solo le donne…
Sono aumentate le impiccagioni pubbliche, anche per i minori di 18 anni. Sto difendendo un ragazzo di 14 anni, Mohammed Latif, condannato a morte per avere ucciso con un pugno un coetaneo durante una partita di calcio. Ne ho parlato con Louise Arbour, l’alto commissario dell’Onu per i diritti umani, che mi ha promesso di intervenire. Due giornalisti curdi, Adnan Hassanpour e Abdolvahed Botimar, sono stati condannati a morte e sono da mesi in sciopero della fame. Tutti i giornali progressisti sono stati chiusi e la tv di stato è inguardabile: calunniano chi vogliono e non mandano in onda le repliche. Anche il nostro sito web è stato chiuso.
Le riforme sono ancora possibili?
Non con questo sistema. Dobbiamo cambiare la costituzione, che assegna il potere assoluto alla Guida suprema. Khatami ha fallito perché il sistema non accetta di essere riformato.
E gli 85 milioni di dollari «per la democrazia in Iran» stanziati dagli Usa dove sono finiti?
E chi lo sa? Qui in ogni caso nessuno li accetterebbe. Anche se io sono stata accusata di avere preso soldi dagli Usa per promuovere una «rivoluzione di velluto».

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