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giovedì 11 ottobre 2007

La lobby gay? "con la DC aveva molto più potere di oggi".

La lobby gay? «Con la DC aveva molto più potere di oggi». Esordisce così l'ex Presidente della Repubblica, Francesco Cossiga.


(Klaus Davi - La Stampa) Perché i gay oggi avrebbero meno potere?
«Perché certe manifestazioni chiassose e ridicole dell'omosessualità offendono l'assoluta dignità dell'omosessuale e la rappresentazione macchiettistica diminuisce anziché aumentare la loro forza. Urlare la loro diversità coincide, paradossalmente, con una perdita del loro potere».

A chi si riferisce, Presidente?
«Ai vari Luxuria, Grillini e Platinette. Ma è sufficiente guardare in tv le immagini dei gay pride».

La Dc non era anti-gay?
«Assolutamente! Bisogna tener presente che la Dc faceva parte della società italiana erede di una porosissima morale, quella laica che era più rigida di quella cattolica. Quindi è falso accusare la Dc di oscurantismo. Ai miei tempi, nessuno avrebbe sbarrato la strada agli omosessuali, sarebbe stato scomposto e intollerabile. Era una questione di rispetto e di silenzio».

Quindi i gay riuscivano a fare carriera nella Dc?
«Altroché. I gay nella Dc facevano una straordinaria carriera. Nessuno, ribadisco, si sarebbe permesso di farne un problema».

Qualche nome, ad esempio Mariano Rumor o Toni Bisaglia?
«Niente nomi, come allora non mi permetto di sollevare veli ma posso affermare che parliamo di persone che hanno fatto tranquillamente la loro ascesa a livelli di poco inferiori al mio».

Quindi anche Presidenti del Consiglio?
«No Comment!».

Come definisce la lobby gay di oggi?
«Difensiva, trasversale e interclassista. Un gay non fa differenza di classe nella scelta dei suoi partner sessuali. E' così che riesce ad essere un gruppo più dominante.

E quella delle donne, invece?
«La lobby delle donne non può esistere: difficilmente è possibile incontrare persone più invidiose l'una dell'altra».

Considera verosimile un'alleanza tra donne e gay?
«Non credo proprio, entrambi infatti entrano in competizione per la conquista dell'uomo».

E nella sinistra, invece, che si proclama tanto progressista, possiamo parlare di una strisciante omofobia?
«Venuta meno la forza di propulsione dell'ideologia comunista, i Ds hanno dovuto cercare di sostituirla trovando nuovi valori e una nuova identità. Tale processo difficilmente si può conciliare con idee tanto radicali quale l'appoggio palese alla lobby gay».

Vedremo mai un gay segretario Ds?
«Col cavolo che i Ds un gay lo fanno segretario o ministro! Tutt'al più bisogna essere un verde...».

C'è quindi un maschilismo di fondo nella sinistra di oggi come nei democristiani di allora?
«Indubbiamente il maschilismo è un tratto comune della politica italiana. Da noi esiste in una forma non presente in Francia, Germania, Inghilterra. In Italia è frutto dell'esasperazione di un discorso molto più vasto di carattere culturale in cui rientra anche il ruolo della Chiesa».

Nel mio libro la tesi di fondo è che il maschilismo lo ereditiamo dal fascismo. E' d'accordo?
«No. Secondo me, la tradizione machista eredita dal fascismo una sorta di "mascolinismo" più che di maschilismo. Queste forme culturali non avrebbero seguito se non riscuotessero successo fra le donne. Se il machismo non piacesse alle donne, sarebbe già morto».

Pensa che siano maturi i tempi per una donna capo dello Stato?
«Le figure adatte ci sono, come Anna Finocchiaro ed Anna Serafini. Direi che quella di capo di stato è la carica più adatta in questo momento alle donne».

Tra le varie candidate chi ritiene invece più adatta a ricoprire la figura di premier?
«Per questa carica ci vogliono forti capacità di mediazione frutto di una cultura politica più complessa, anche se ci sono donne che potrebbero farlo tranquillamente: Letizia Moratti ma anche Livia Turco».

Cosa pensa delle quote rosa?
«Io sono contro le quote, le considero una penalizzazione della donna. Sono discriminatorie e paragonabili alle norme antidiscriminazione rifiutate negli USA dagli stessi neri. Perché quelle leggi - le norme sul razzismo come le quote rosa - sottintendono il messaggio: voi per natura, per cultura, in società non siete uguali a noi, allora vi parifichiamo per legge».

E delle first lady candidate?
«Ségolène Royal moglie di Hollande, Hillary moglie di Clinton. La stampa italiana trova naturale che, pur essendo state sposate a uomini che fanno politica, si possano candidare ad essere capi di stato dei loro rispettivi paesi. Qui da noi, invece, il fatto che una donna faccia politica e sia sposata a un uomo politico può diventare occasione di una campagna stampa senza precedenti. Campagna che vede protagonista giornalisti (tra i quali anche molte donne) e ovviamente politici maschi e femmine uniti nella caccia alla privilegiata».


Dalla politica all'economia, non crede che anche qui ci sia un forte maschilismo?
«A mio parere la questione del maschilismo investe in modo minore i settori dell'economia perché non può essere guidata con leggi che riconoscano alle donne privilegi, tant'è che ci sono donne di prim'ordine. Penso a Emma Marcegaglia che conta più di 30 deputati messi assieme. Nel business le regole sono diverse, più aperte».



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