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giovedì 11 ottobre 2007

Risate alle crociate.

Italia 2061: un paese diviso e in guerra tra leghisti, sultani e Inquisizione.
Dai Vanzina arriva un film fantacomico.
E un j'accuse al sistema cinema. Colloquio con Enrico Vanzina.


(Alessandra Mammì - L'Espresso) Il destino di tutti i film è nel soggetto. Nell'idea che tiene unito un film per due ore. E se il soggetto è buono si può riassumere in due righe sole... E allora ci provi, Enrico Vanzina, a riassumere '2061- Un anno eccezionale'. Non più di due righe però: "L'Italia nel 2061 è divisa come nel 1861. Un gruppo di persone la vogliono riunificare". Sintesi di Enrico anche a nome del socio&fratello Carlo.

Ecco fatto. Di più si può dire che siamo in uno scenario tra l'apocalittico e il medievale, in un film che s'ispira in egual misura a 'L'Armata Brancaleone' e 'Mad Max', dove il protagonista è un Diego Abatantuono vestito come il pirata Jack Sparrow-Johnny Depp con tanto di bandana e kajal agli occhi. Poi, si può dire che uguale e diversa al 1861, questa futura Italia è divisa in un Sultanato delle due Sicilie governato da musulmani, in un rinato Stato pontificio con tanto di resuscitata Inquisizione, nella Repubblica emiliana della Falce e Mortadella, mentre sulla Pianura padana s'innalza un'orgogliosa muraglia che isola e protegge dai terroni la leghista Repubblica longobarda. È qui che comincia l'avventura di un'armata stracciona, in un paese ecologicamente e politicamente distrutto, sulle macerie di un medioevo di ritorno e grazie a un cast dove brillano Michele Placido cardinale reazionario, Sabrina Impacciatore finalmente sexy, Emilio Solfrizzi eroe per caso, Massimo Ceccherini ovvero il granduca di Toscana Cecchi Gori, pronipote di quello vero. "Volevamo fare un film comico". Lo è. Però è anche un film politico. E spaziando tra il comico e il politico ecco il pensiero dei Vanzina alla vigilia dell'uscita (26 ottobre) del "migliore film che abbiamo fatto negli ultimi tempi", parola di Enrico anche a nome di Carlo.

Il Sultanato delle due Sicilie e il Granducato dei Cecchi Gori e Della Valle, la montagna di spazzatura che batte in altezza il monte Bianco, la fine del petrolio e un paese di sgangherati che confonde la storia con i reality. È questa l'italia del futuro secondo i Vanzina?


"Questo è un film tra il comico e il fantascientifico. Ma poiché sia la fantascienza che la comicità partono da dati reali, diciamo che i presupposti perché diventi profetico ci sono tutti".

Ovvero?
"I nostri egoismi, i nostri campanilismi, le conquiste civili che stiamo perdendo, l'integralismo religioso che avanza, la cialtroneria, il crollo dell'identità culturale, l'incapacità di dettare regole comuni, il separatismo del Nord... continuo?".

Dunque: film politicamente impegnato, tendente a sinistra?
"Macché. Non ci prendiamo così sul serio e poi al Nord ci sono molti sindaci di sinistra sensibili al separatismo. Ripeto: questo è un film comico che speriamo faccia ridere e porti il pubblico al cinema. Insomma un film da multiplex, perché non è giusto che nei multiplex i film per ragazzi siano soprattutto prodotti americani. Rivendichiamo l'importanza del cinema di genere. Se c'è un messaggio è puramente cinematografico".

Quale messaggio?
"Fare il cinema per chi va al cinema. Come faceva il grande cinema italiano".

Allora è d'accordo con Quentin Tarantino nel dire che il cinema italiano muore quando smette di fare il 'genere'?
"Tarantino ha perfettamente ragione. Dobbiamo riappropriarci del film di genere. 'Brancaleone' era un film di genere ma anche una commedia politica. E poi un tempo non esisteva differenza netta fra cinema d'autore e di cassetta. Anche il cinema d'autore era di cassetta. I film di Rosi, Fellini, Visconti erano grandi capolavori, ma riempivano le sale e facevano tanti soldi al botteghino. Ora non si fanno più neanche i film d'autore, si fanno più che altro film da festival".

Non ama i festival?
"Niente in contrario. A parte il fatto che non capisco per ché tutti siano così preoccupati di andare a un festival, invece che andare bene in sala. Ma il cinema è una grande arte popolare, rivolta a un pubblico che deve riempire le sale. Se dimentichiamo questo, il cinema muore".

È una polemica contro i 'cento autori'?
Come potrei? Ne faccio parte. È sacrosanto un movimento trasversale per smuovere l'interesse della classe politica. Detto questo, sono contrario a un cinema completamente assistito. Il cinema è un gioco dove si possono guadagnare tanti soldi o perderli tutti. La cosa importante è rilanciare l'autonomia dei produttori, trovare lo spazio per gli indipendenti che altrimenti soffocano. I ricavi in sala sono bassi, il video è piratato, le televisioni pagano poco i film e la pay tv è monopolista. Per questo il cinema in crisi".

__img2__E i registi, gli sceneggiatori, gli autori non hanno responsabilità?
"Certo che ne hanno. C'è una crisi interna e francamente non vedo neanche la rinascita di cui si parla. La colpa è di tutti noi, compresa la critica che ha indirizzato il cinema italiano verso un prodotto autoriale lontano dal pubblico. Poi i media che parlano quasi solo di televisione. E la televisione che non parla di cinema, ma è autoreferenziale e parla solo di stessa".

La soluzione?
"È che ci s'impegni tutti. A cominciare dai politici: che tornino a fare i politici invece di apparire continuamente in televisione sennò finiscono come 'L'innaffiatore innaffiato' del film dei Lumière".

Ci spieghi la citazione...
"Se i politici cercano di imitare i comici, urlando in tv o partecipando a tutti i programmi della mattina e della domenica, non si stupiscano se qualcuno, che è comico davvero e sa stare sul palcoscenico meglio di loro, gli ruba il mestiere".

Ma la tv ci domina. In '2061' nessuno sa più chi fosse Garibaldi ma tutti citano i reality.
"Inquietante, no? Nessuno parla più italiano, i datteri arrivano dalla Sassonia e i nostri eroi hanno dimenticato la Tosca. È la disgregazione. In fondo poteva essere un film drammatico".

Non è da voi.
"Eppure per avere una buona commedia è necessario un impianto drammatico. Pensi a 'Divorzio all'italiana' o alla 'Tutti a casa'. Tutte storie tragiche".

Più che alla tragedia, '2061' attinge al filone eroico-avventuroso
"Sono eroi per caso: cialtroni, opportunisti, guadenti che alla fine si riscattano. Italiani veri".

Le piacciono così tanto gli italiani?
"Come diceva Flaiano, invecchiando più che gli italiani cominciano a piacermi i loro difetti. Comunque l'Italia sì, mi piace: mi piace così com'è adesso con la sua diversità, la sua cultura, il suo cibo. E non la voglio cambiare con dei datteri di Sassonia".

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