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venerdì 25 gennaio 2008

Uteri in affitto all'estero per far nascere bimbi italiani. Preferiti gli Usa. Pacchetti «tutto compreso».

(Monica Ricci Sargentini - Il Corriere della Sera) Francesca ha perso suo figlio all'ottavo mese di gravidanza a causa di una predisposizione, non diagnosticata, alla trombofilia. Il piccolo è nato morto e una grave emorragia le ha portato via anche l'utero. Barbara, invece, imputa la sua disgrazia a un errore medico in sala parto. «Se il cesareo fosse stato fatto subito — racconta — oggi Tommaso sarebbe ancora vivo». Anche lei, con l'intervento, ha perso per sempre la possibilità di costruirsi una famiglia in modo naturale. Diverso il caso di Sabina: rimasta incinta sette volte, non è mai andata oltre la dodicesima settimana. Sono loro le tipiche surromamme, quelle che per diventare madri hanno un'unica possibilità: ricorrere all'aiuto di un'altra donna che porti avanti la gravidanza al loro posto. Un percorso complicato, illegale in Italia ancor prima della legge 40, ma possibile all'estero dove fioriscono le agenzie che offrono pacchetti «tutto compreso», dall'assistenza legale alla ricerca della portatrice, come viene spesso chiamata la madre surrogata. E non sono poche le coppie italiane, eterosessuali e omosessuali, che si fanno tentare. «Il fenomeno è in crescita esponenziale — spiega Gail Taylor, 39 anni, fondatrice di Growing Generations, l'agenzia californiana nata nel 1996 e dedicata esclusivamente alla comunità gay —. Riceviamo richieste da tutto il mondo. Anche dal vostro Paese. Finora avremo aiutato decine di coppie omosessuali italiane. Per quelle etero, invece, abbiamo fondato nel 2002 Fertility Futures e anche lì i clienti non mancano».

Il costo però è quasi proibitivo: «Per uno straniero — spiega Taylor — si aggira tra i 150mila e i 170mila dollari. Il primo appuntamento è gratuito e senza lista d'attesa qui negli States. Altrimenti possiamo venire noi in Italia ma in quel caso bisogna aspettare». Di problemi legali non ce ne sono. Gli accordi tra le parti vengono studiati nei minimi dettagli e in molti Stati americani, dalla California all'Illinois, è possibile stabilire ancor prima del parto la paternità e maternità dei genitori riceventi. Il nome della portatrice non appare sul certificato di nascita. Il che rende possibile tornare in Italia con un figlio proprio a tutti gli effetti. E senza nemmeno passare dal consolato. «Il bambino quando nasce ha la cittadinanza americana — spiega Richard B. Vaughn, avvocato al National Fertility Law Center di Los Angeles —, dopo dieci giorni si può chiedere il passaporto e lasciare il Paese. Più delicato il caso delle coppie gay. Qui in California è possibile registrare allo stato civile due padri ma per i Paesi che non lo permettono, consigliamo ai nostri clienti di far apparire la madre surrogata sul certificato di nascita, previa rinuncia alla patria potestà, oppure di lasciare solo il nome del padre. Entrambi i casi sono stati accettati in Italia». L'avvocato Ezio Menzione ha lo studio a Pisa e si occupa da anni di garantire le coppie dai trabocchetti giuridici: «È importante — spiega — l'aiuto di un legale per avere i documenti in regola per la trascrizione dell'atto di nascita in Italia. A volte gli stati civili pongono dei problemi perché hanno paura che ci sia sotto un'adozione. Proprio ieri sono dovuto intervenire presso lo stato civile di Roma ma ho risolto la cosa per telefono. L'importante è che il certificato di nascita abbia una validità internazionale, in termini legali si definisce apostille. Con questo documento non bisogna nemmeno passare dal consolato».

Qualche complicazione in più se la coppia è omosessuale: «Nella maggior parte dei casi risulta una madre che ha rinunciato ai diritti genitoriali e che poi non comparirà nello stato civile. A meno che il padre non lo desideri». Il percorso, comunque, è ormai collaudato per le nascite negli Stati Uniti e in Canada, un Paese che offre gli stessi standard americani a un prezzo minore: dai 40mila ai 50mila dollari. «So di coppie — aggiunge Menzione — che sono andate in Ucraina o in Russia. Anche lì è legalmente possibile. Ma io non me ne sono mai occupato. Bisogna conoscere molto bene il diritto del Paese in cui si opera per evitare che la piccola o il piccolo venga trattenuto alla frontiera una volta nato». Alcuni italiani, per stare più tranquilli e anche per risparmiare, reclutano una parente. Stefania, per esempio, è tornata da Kiev proprio in que sti giorni. Sarà la sorella a portare in grembo il suo bambino che sarà partorito in Ucraina. Il costo è di circa 10mila euro (25mila se la portatrice è fornita dalla clinica). «In questo caso — spiega Menzione — non dovrebbero esserci problemi perché sul certificato di nascita comparirà il nome della madre biologica, che ha donato gli ovuli, e non di quella surrogata».

Lo stesso discorso vale per la Russia dove si pagano circa 42mila euro. Molto delicata è la scelta della portatrice. Affidarsi a Internet per risparmiare non è mai una buona idea. Il rischio di una truffa o di un ripensamento è troppo alto. Le agenzie più serie sottopongono le loro candidate a uno screening psicologico molto attento. Due i requisiti base: avere già avuto un figlio ed essere indipendente economicamente. È importante anche che la famiglia della donna sia d'accordo. E che la gravidanza sia gestazionale cioè che la surrogata sia inseminata con l'ovulo della madre ricevente o di un'altra donatrice. In questo modo il bambino che nascerà non sarà biologicamente suo e l'attaccamento psicologico sarà minore. Ma cosa spinge le portatrici a candidarsi? «La maggior parte — spiega Gail Taylor — lo fa per amore, perché gli piace essere incinta e aiutare gli altri. Poi, ovviamente, c'è anche il lato economico».

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