(Queerblog) Nei giorni scorsi diversi lettori di Queer hanno mosso critiche ai post di un certo tipo che da qualche tempo si vedono da queste parti (attori porno, sesso nei bagni, inconvenienti della penetrazione anale, ecc.). Le critiche vertono sulla discutibilità di certi argomenti, che alimenterebbero lo stereotipo del gay promiscuo e fissato col sesso, e sulla loro pericolosità, essendo tali argomenti pane quotidiano degli omofobi.
Premesso che non mi interessa promuovere un’immagine del mondo gay come un campionario di outsider - la trasgressione è la glorificazione della legge, diceva Georges Bataille -, e riallacciandomi al post di Robo sul classismo all’interno del mondo lgbt, io credo che voler proporre solo una fetta della torta, escludendo il resto, non sia mai interessante né utile.
Far credere al mondo che i gay sono tutti plasmati sul modello arcigay – borghesi very proud che pagano le tasse e si lamentano di essere vittime, mentre vanno al cinema e leggono tanti libri – è altrettanto menzognero (e stupido) che dire che i gay sono tutte troie sessuomani.
Se la via all’integrazione è l’aderenza a un modello rassicurante che partecipa in pieno ai dispositivi normalizzanti del potere, e non un rifiuto di qualsiasi modello precostituito in nome della libertà di ciascuno di autodeterminarsi, allora preferisco non integrarmi, secondo il mio modesto parere.
Io credo che presentarci per quello che siamo, persone infinitamente varie con tutti gli aspetti “alti” e “bassi” della dimensione umana, non possa che giovarci. Prima che froci, siamo persone, o no?
Su quanto il mondo lgbt sia altrettanto stereotipato e asservito di quello etero, vorrei rimandarvi a un’intervista su Amore & Veleno, blog dello scrittore e dj Simone Bisantino, fatta a Francesco Macarone Palmieri, antropologo e dj che da molti anni si occupa di sessualità e controculture, media studies e performances. Eccone un estratto:
“Io mi sono ritrovato in un punto della mia vita in cui ho dovuto fare i conti con un panorama devastato, afflitto da meccaniche di potere identitarie basate sulla speculazione dialettica e sul qualunquismo, che risponde al nome di molta comunità glbt. Le stesse meccaniche di potere che io avevo messo in crisi decenni prima durante tutto il percorso della mia vita e che mi ritrovavo addosso. In tale dramma tra drinks da discount, le icone della Carrà e Renato Zero, e una coltre d’inibizione sociale mescolata a sesso putrido nell’ottica masturbatrice sul corpo altrui, sentivo la fine della mia stessa storia”.
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