(Andrea Tornielli - Il Giornale) È una storia quasi sconosciuta, quella del podestà di Ozzano dell’Emilia Giovanni Pignatti, e del professore ebreo bolognese Ubaldo Lopes Pegna, che negli ultimi giorni del settembre 1943 bussò alla porta del gerarca, appena dimessosi, uscendone con in mano una lettera di «raccomandazione» che permetterà al docente di aver salva la vita nell’Italia delle leggi razziali appena finita sotto il giogo nazista. È una delle tante storie dei giusti, di coloro che rischiando la vita aiutarono gli ebrei nel momento della persecuzione. L’hanno riscoperta lo storico Giuliano Serra, e gli studenti delle terze classi della scuola media di Ozzano, guidati dalla professoressa Elena Romito, che sabato ricorderanno la figura di Pignatti, insieme a Lucio Pardo, della comunità ebraica di Bologna. Una commemorazione che ancora non riesce ad essere pienamente condivisa, viste le proteste di qualche esponente di Rifondazione comunista contro l’amministrazione comunale (di centrosinistra) per aver voluto ricordare «un fascista», bollando l’iniziativa come «revisionismo pericoloso».
Pignatti era un uomo onesto e coraggioso. Nell’ottobre 1936 non si era tirato indietro davanti a Mussolini in visita a Bologna lamentandosi per lo stato disastroso delle strade e la disoccupazione, ricevendone in cambio lettere dai toni piuttosto minacciosi. L’odissea del professor Lopes Pegna, docente di un istituto magistrale, era invece cominciata ben prima del 1938, anno della promulgazione delle vergognose leggi razziali, non avendo egli voluto aderire al fascismo ed essendosi rifiutato di iscrivere i figli alle organizzazioni littorie. Dopo il varo delle norme antisemite, i suoi tre figli, Giuseppe, Ettore e Benedetto, vengono espulsi dalla scuola. Anche il padre perde la cattedra e va a insegnare alla scuola ebraica di Ferrara. Quando questa sarà chiusa, dopo l’8 settembre 1943, Lopes Pegna farà per qualche tempo il commesso in una cartoleria. Dovendo sfuggire ai rastrellamenti tedeschi, l’uomo e i suoi familiari arrivano ad Ozzano e qui il professore va a far visita al podestà, che proprio in quei giorni veniva sostituito, dopo aver ricoperto ininterrottamente l’incarico dal 1925. Ufficialmente si era dimesso «per motivi di salute», ma in realtà non condivideva la linea del regime. L’incontro tra i due avviene una sera di fine settembre, nella casa dell’ex podestà a San Cristoforo di Ozzano. Il figlio di Pignatti, Romano, che all’epoca aveva nove anni, ricorda ancora il padre che in casa parlava sottovoce con la moglie di «un certo professore ebreo».
In una pagina del diario di Lopes Pegna, si legge: «Insieme al mio figliolo maggiore Giuseppe, mi recai dal podestà per chiedere aiuto... L’ex podestà signor Pignatti, si mostrò gentilissimo e lo fu, e dispostissimo ad aiutarci... Mi consegnò un biglietto per un certo signor Angelo Maltoni che fu per me allora e per sempre un angelo salvatore, davvero...». La «raccomandazione» si rivela decisiva. Un ex fattore di Maltoni, Giobbe Armaroli, ha dei poderi disponibili che diventano il rifugio per Lopes Pegna e i suoi familiari. Vi rimarranno nascosti fino al gennaio 1945. Sono gesti da non sottovalutare: chi veniva scoperto a dare ospitalità ad ebrei rischiava infatti la fucilazione. Pignatti non ebbe paura, Maltoni e Armaroli neppure.
C’è un epilogo di questa storia, particolarmente istruttivo. L’ex podestà, a guerra finita, comparirà davanti al Tribunale per l’epurazione dei fascisti politicamente pericolosi, che decideva se dovevano godere o meno del diritto elettorale. Pignatti ritroverà come giudice del tribunale proprio quel professor Lopes Pegna che aveva aiutato nel momento più tragico. E sarà assolto.
Questa mattina il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano partecipa una cerimonia per ricordare i Giusti con gli studenti di molte scuole italiane. «Sono i giovani che hanno portato i giusti al Quirinale - spiega al Giornale la professoressa Antonia Grasselli del liceo scientifico Fermi di Bologna -. I giovani che saranno presenti non sono innanzitutto dei destinatari di un messaggio, ma i portatori di una proposta. Conoscono già i giusti e le loro storie. Possono dunque insegnare che cosa sia la memoria del bene». «A questo serve fare memoria della Shoah - osserva la docente - il male si è riproposto tante volte dopo allora, e si riproporrà sempre, l’unica nostra garanzia è la presenza in ogni contesto di uomini giusti. Noi dobbiamo questa capacità di lettura della storia alla riflessione di Gabriele Nissim che è riuscito a cogliere (soprattutto nel suo libro Il tribunale del bene ma non solo in questo) il senso profondo dell’operato di Moshe Bejski a cui dobbiamo il Giardino dei Giusti di Gerusalemme». «Il rischio oggi da parte dei detrattori della memoria del bene - conclude Antonia Grasselli - è la sua banalizzazione. Ossia la sua riduzione ai soli buoni sentimenti. I giusti sono invece dei non allineati, persone che hanno agito controcorrente, perché hanno saputo innanzitutto mantenere una indipendenza di giudizio».
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