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martedì 15 gennaio 2008

L’horror che non uccide.

http://www.flickr.com/photos/jalex_photo/1680862003/
(Panorama) I maestri del genere horror forse non hanno mai sospettato che, facendo scorrere abbondantemente il sangue sul grande schermo, salvano più di una vita nella realtà. La violenza rappresentata al cinema e negli altri media avrebbe infatti l’effetto opposto a quello spesso temuto di dare il cattivo esempio ai più giovani, inducendoli a considerare normali e tollerabili i comportamenti più gravemente aggressivi verso il prossimo. Lo sostiene un ampio studio (file pdf) presentato durante l’ultimo convegno dell’American Economic Association. I due economisti che ne sono autori, Gordon Dahl, dell’Università di San Diego, e Stefano Della Vigna, dell’Università di Berkeley, per la prima volta hanno messo a confronto un decennio di statistiche sul crimine (quello tra il 1995 e il 2004) con la programmazione delle sale cinematografiche nello stesso periodo, notando che negli Stati Uniti l’uscita dei film splatter più attesi si è accompagnata a una diminuzione media di 52 mila crimini violenti all’anno, cioè circa mille in meno per ogni fine settimana in cui le pellicole rastrellavano i maggiori incassi, senza che nei giorni o nelle settimane immediatamente successive si sia registrata una recrudescenza di reati efferati a compensazione di quelli evitati grazie ai migliori registi del genere. Se questi ultimi si trovassero disoccupati, sostengono gli autori dello studio, avrebbero indirettamente sulla coscienza qualche morto reale, per esempio a causa di un più ampio consumo di alcolici da parte dei ragazzi che non siano distratti dall’assassino in azione al cinema.

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