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domenica 23 dicembre 2007

Napoli. Una città che fa sistema solo nel gestire l´illegalità.

(Aurelio Musi - La Repubblica) Tra il dire e il fare c´è di mezzo la corruzione. Mentre si discute di innovazione nella politica e nell´amministrazione, di trasparenza nella gestione dei finanziamenti pubblici e via discorrendo, scoppia la bomba degli appalti pilotati. La schizofrenia non è più una distorsione patologica, ma ormai la fisiologia dell´agire politico nella nostra regione. Davvero non se ne può più.
Con la dose di ottimismo della volontà che lo caratterizza, Giandomenico Lepore dice che la situazione è grave, anche se non è paragonabile agli anni di tangentopoli. Mi permetto di dissentire. L´impressione è proprio quella di essere riportati di colpo a prima del 1993, quando la sindrome della vergogna coinvolse buona parte dei napoletani e incrinò profondamente il sentimento di appartenenza alla storia non ingloriosa di una città, ridotta a macerie dall´operato di un´intera classe dirigente. E proprio perché si era caduti così in basso, fu facile a Bassolino creare l´illusione di una ripresa.
Perché si ha l´impressione di una paurosa involuzione? Come si ricorderà, la ricostruzione post terremoto contribuì a creare un nuovo sistema di potere, un vero e proprio “blocco storico”. Ne fecero parte imprenditori privati del Sud, del Centro e del Nord Italia, cooperative rosse e bianche, imprese a partecipazione statale, professionisti della progettazione tecnica, burocrati, funzionari e dirigenti coinvolti a vario titolo nelle procedure di attuazione, esponenti di primo piano del governo centrale e locale. Fu creato un vero e proprio “superpartito”, costruito sull´intreccio tra privato e pubblico, un intreccio ramificato e diffuso, voluto non solo dal potere politico, ma anche da imprenditori, burocrati, professionisti, soggetti dell´economia e della società.
Io non so se le proporzioni del fenomeno oggi siano equivalenti a quelle di ieri: questo ce lo dirà la magistratura. So solo che la fisionomia e il metodo della corruzione mostrano non pochi segni di analogia con i bui anni Ottanta. Allora come oggi siamo in presenza di un vero “sistema tentacolare”: e cioè un insieme costituito da un´unità centralizzata che coordina il tutto, funzioni assegnate alle diverse parti, la loro interdipendenza. È sorprendente come a Napoli si sia capaci di “fare sistema” solo nella gestione dell´illegalità: qualcuno dovrà pur spiegare questa anomalia.
Dunque al vertice del sistema c´è un imprenditore brillante che conduce uno stile di vita nel segno di tutti gli status symbol possibili e immaginabili: il “fuoriclasse delle gare” non solo condiziona gli appalti, ma riesce, da vero maestro del “know-how”, a prevenire tutte le mosse degli altri partecipanti. Altro protagonista è un vicepresidente degli industriali accusato di turbativa d´asta. Naturalmente è decisivo l´anello di congiunzione tra economia e politica: una dirigente dell´amministrazione regionale, del settore bilancio e ragioneria che, attraverso una rete di impiegati e funzionari, controlla l´intero sistema informativo. C´è inoltre un dirigente centrale del Comune. In relazione diretta con la responsabile del settore bilancio e ragioneria è il politico, un consigliere regionale. Attraverso costui e un ex assessore comunale, l´imprenditore riesce a spuntare criteri di selezione vantaggiosi per la sua azienda. Attraverso i funzionari corrotti, l´imprenditore riesce a controllare le contromosse dei concorrenti.
La descrizione del meccanismo su esposto, che i protagonisti presumevano forse a orologeria precisa, dimostra che nulla è cambiato a Napoli nei rapporti tra economia, politica e amministrazione. Il potere economico è fragile e quasi totalmente dipendente dalle istituzioni e dalla politica. La burocrazia assume spesso la funzione di mediatrice d´affari. La politica, a dispetto di tutte le leggi che hanno cercato di distinguere i compiti di indirizzo e programmazione da quelli di gestione, tende facilmente a corrompersi e a corrompere la sua funzione primaria, che è la tutela del bene pubblico.
Fa una certa impressione la rappresentazione, proposta dai magistrati, di un Palazzo San Giacomo come “territorio selvaggio, un posto senza regole”. Luca Esposito, coinvolto nell´inchiesta della magistratura, non è stato un assessore qualunque del Comune di Napoli, ma il vero fiduciario del sindaco. Ma, infine, in questa brutta storia tutti dovrebbero assumersi le loro responsabilità: l´Unione industriali, che dovrebbe ripensare dalle fondamenta il suo ruolo e la sua identità nella “governance” della città; il Partito democratico, che, finora, non mostra quasi niente di nuovo e ha ereditato tutte le malattie del passato; la macchina amministrativa regionale e comunale, che sembra affetta ancora da tutte le patologie denunciate nel 1900 dall´inchiesta Saredo; la politica che ragiona del sesso degli angeli mentre la città brucia.

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