Zara, impiccata ieri a Teheran, come Raheleh aveva ucciso suo marito dopo anni di violenze subite, mentre uno degli uomini saliti sul patibolo, Qassem, era accusato di stupro e rapporti omosessuali con 15 adolescenti.
(Cenerentola si ribella) Neanche nello storico giorno del voto sulla moratoria della pena di morte all’Onu, il boia ha fermato la sua mano. Quattro persone sono morte ieri mattina nel famigerato carcere di Evin. Una delle vittime è Zahra Nazemian, gli altri, di cui si è avuta notizia solo ad esecuzione avvenuta sono: Qasem, 28, Reza, 28 and Erfan S, 27, tutti e tre condannati per omicidio. È stata posticipata di due settimane, invece, l’esecuzione di Raheleh Zamani. I genitori del marito hanno deciso di concedere alla donna 14 giorni in più per trovare i soldi necessari a pagare il prezzo del sangue. Ricordiamo che Raheleh Zamani uccise il marito due anni fa al culmine della disperazione per i continui abusi e violenze cui era sottoposta da anni e che il marito non le risparmiava neanche di fronte ai bambini. Abbiamo due settimane per evitare che venga uccisa l’ennesima vittima della violenza. Bisogna inondare di lettere, di fax e di mail di protesta i recapiti dell’ambasciata iraniana in Italia.
Ma soprattutto bisogna scrivere ai parlamentari, al governo affinché siano i nostri rappresentanti a dare voce alla nostra indignazione. Oltretutto è ormai giunta l’ora, dopo quanto accaduto ieri, di lavorare seriamente affinché il dossier sui diritti umani in Iran venga discusso dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu. “Le proteste non aiutano più”- ha affermato Mahmood Amiry-Moghaddam, portavoce del sito Iran Human Rights, e vincitore del premio Amnesty International (sezione norvegese) per i diritti umani 2007- “è ora che il caso iraniano venga deferito al Consiglio di Sicurezza dell’ONU”.
Anche Zara, impiccata ieri a Teheran, come Raheleh aveva ucciso suo marito dopo anni di violenze subite, mentre uno degli uomini saliti sul patibolo, Qassem, era accusato di stupro e rapporti omosessuali con 15 adolescenti. La stampa di Teheran ha pubblicato con un certo risalto la notizia dell'esecuzione di queste condanne a morte, nemmeno una riga, invece all'approvazione della risoluzione presentata dall'Italia sulla moratoria internazionale della pena capitale. Solo l'Irna, l'agenzia ufficiale iraniana, in un dispaccio da New York accennava al risultato del voto all'Assemblea generale delle Nazioni Unite, sottolineando che ''questo tipo di risoluzioni non comportano obblighi di nessun genere per i paesi membri''.
Intanto per le donne sono tempi bui quelli che vivono quotidianamente, senza alcun riconoscimento professionale. Accade con le atlete, vere e proprie campionesse, cui è impedito di gareggiare, e accade ancora come nel caso di Samira Norouzi, la prima pilota iraniana abilitata a far volare un aereo commerciale con passeggeri a bordo, e che non potendo frequentare i corsi professionali in Iran, - ha conseguito dopo 13 mesi di studio, il diploma di abilitazione ai voli commerciali nelle Filippine, ma una volta tornata in patria si è vista negare il diritto al lavoro solo perché è donna. Laureata all'Università di Teheran in ingegneria aerea, a 19 anni prende anche il brevetto degli aerei ultralight, il secondo, dopo che a soli 15 anni era divenuta la più giovane pilota del Paese. Una volta laureata, pur passando l'esame di ammissione all'unica scuola per i piloti della Repubblica Islamica, Samira viene esclusa. Sempre con la stessa motivazione: “sei una donna”.
''Ho un diploma riconosciuto dall'Icao (International civil aviation organization, ndr) che mi abilita a esercitare come pilota ovunque nel mondo, anche nel mio paese, ma nessuno vuole assumermi'', ha raccontato Samira all’agenzia Aki. ''Quando ero nelle Filippine ricevetti varie offerte di lavoro, ma volevo volare su aerei che battessero bandiera iraniana, ho sempre sognato di essere la prima pilota donna del mio paese''. Ma, dopo aver superato negli ultimi due anni i concorsi indetti da diverse compagnie aeree della Repubblica Islamica, ogni volta è stata scartata in quanto donna. ''La compagnia Mahan, dopo che avevo superato l'esame scritto, mi ha anche intervistata e mi hanno comunicato che avevo superato eccellentemente tutte le prove, ma poi non mi hanno mai chiamata e hanno preso tutti quelli che nella graduatoria erano sotto di me'', racconta Samira. La giovane pilota, però, non intende arrendersi. La compagnia Aseman, una linea aerea privata, ha assunto una pilota donna. ''Una grande vittoria per tutti noi, spero che anche le altre compagnie aeree dimostrino lo stesso coraggio'', dice in conclusione, ma aggiunge che se continueranno a sbatterle la porta in faccia perchè donna,’'allora cercherò lavoro all'estero, dove il sesso non è più motivo di discriminazione''.
Ma non possono certo abbandonare in massa il Paese le donne che non indossano l’l'hijab, e che ieri si sono viste minacciate di morte insieme ai loro mariti, dall’ dell'hojatolislam Gholam Reza Hassani, guida della preghiera di venerdì della città di Urumieh, nell'Azerbaijan iraniano. ''Non riesco a capire - ha tuonato Hassani - come mai queste donne che non rispettano l'hijab, 28 anni dopo la nascita della Repubblica Islamica, sono ancora vive''. ''Queste donne, e i loro mariti e i loro padri devono morire'', ha aggiunto il rappresentante dell'ayatollah Seyyed Ali Khamenei, pronunciate mentre alcune femministe vengono accusate dall'autorità giudiziaria di appartenenza a banda armata e di attività sovversive contro la sicurezza dello Stato. Parole che assumono un rilievo particolare e potrebbero scatenare una caccia alle donne che non rispettano alla lettera il codice d'abbigliamento islamico.
-
Nessun commento:
Posta un commento