(Marco Neirotti - La Stampa) Ma se lo sapevate davvero tutti, era così difficile dirlo a Chiara, quando, a quanto sembra, cercava di buttare messaggi a un’amica: «C’è qualcosa non va, qualcosa di grave»? E’ questo il giorno dopo, in questa cittadina di novemila abitanti, benessere di commercio e artigianato e piccola industria e, soprattutto, memoria che va e che viene. Il giorno dopo la notizia dei bimbi nel computer è quando rispolveri tre parole di un amico, o qualcosa di simile a un amico o un conoscente, che racconta con entusiasmo - sembra stato d’estasi - di Alberto immerso con la fronte e il pensiero nello schermo. Immagini del peggio del peggio, pedofilia. Adesso, qui a Garlasco, scopri che lo sospettavano tutti o quasi, che comunque era strambo, proprio lui così perfetto.
«Gli si leggeva in faccia», Cesare Lombroso ripescato con qualche pagina perduta al mercatino dell’usato. Alberto stava con Chiara Poggi, l’altro ieri era un gay notoriamente riconosciuto da tutti, oggi è un pedofilo, magari virtuale, sul quale nessuno aveva dubbi. In queste strade di un paese che negli anni ha perso la sua identità di pianura della quiete e ne ha riacquistata una anomala come è accaduto a Novi Ligure, a Cogne, Alberto è uno «visto qualche volta», «sì mi ricordo, forse». E’ evaporato fisicamente e pesa come una piramide costruita senza badare se il villaggio è stato evacuato. Hanno pianto con lui, dentro e fuori la chiesa, e adesso ricordano di avere intuito subito che «c’era qualcosa di strano». Si bisbiglia. E’ il contrasto più incredibile. Da una parte ci sono persone gentili e partecipi - «mi raccomando, un accenno al nostro locale nell’articolo, vi stiamo aiutando» - dall’altra ci sono stupori e incredulità.
Nel mezzo ci sta non soltanto una sentenza, ma anche una motivazione («ecco perché l’ha fatto») che agli atti giudiziari non guarda più. Tra questi novemila abitanti quelli che incontri hanno idee che corrono oltre a una magistratura che scivola con serpentine da sciatore in discesa e salita lungo un’inchiesta diretta in modo disperante, tra Ris che vanno e vengono e conferenza stampa senza un porto dove arrivare. E’ l’unico indagato che decide quando sorridere, quando piangere, quando nascondersi e quando apparire. Ammesso che Stasi sia colpevole, Scattone e Ferraro - quelli processati e condannati a pene irrisorie per la morte di Marta Russo all’Università La Sapienza di Roma - descritti dai giornali come i teorici del delitto perfetto, gli gironzolano intorno come dilettanti. Il delitto perfetto esiste se non ti incastrano. E’ questa Garlasco che ha pianto.
E’ una corte popolare che non ascolta accusa e difesa per orientarsi. Garlasco dei bar, dei ristoranti, degli incroci, degli alberghi, delle pizzerie e della discoteca che accoglie mezza provincia di Pavia ha deciso, riscopre un movente che la magistratura non ha ancora accertato. Alberto per mano a una ragazza davanti alle vetrine? La maschera. Che vuol dire, signora la maschera? «Che uno che se la fa con i pedofili deve fare finta di amare le donne». Non uno che ti dica: che ci faceva a consolarsi con lei morta da poco? Ma l’inquietudine vera sono i ragazzi. Sfogliano come per caso aneddoti, attimi, incontri, anche datati, che trascinano Stasi e un suo amico carissimo, compagno di viaggio, in un dipinto con i contorni già fatti, basta colorare. E’ facile adesso dire «sapevamo tutti che era gay».
E’ più difficile quello che racconta un’amica di Chiara: «Era inquieta, era triste, era incerta. Non sapeva bene che cosa e come dirlo. Ma voleva sfogarsi. Parlava di lui senza spiegare il problema, non ne poteva più di una ossessione del suo uomo». Pornografia, dicono gli atti. Questo Chiara aveva scoperto. Ma qual era davvero la pornografia è quel che fa la differenza. Ce n’è una che puoi condividere, dice apertamente Fabio nel bar, con la tua compagna e ce n’è una che non confesserai mai a nessuno. «Agli amici sì». Agli amici, appunto. E’ così che nasce l’indagine parallela, tanto teorica quanto a ritroso, di una cittadina.
C’è un amico di Alberto Stasi che vive qui, che è stato in giro con lui, che quella mattina, guarda caso, era al mare. Dopo la notizia del materiale pornografico e pedofilo con cui Alberto giocava cliccando, Garlasco vede un altro viso nell’altro ragazzo, cerca e scruta, legge anche al buio. Chiara morta ha segnato anche lui al di là di qualsiasi cammino processuale. In un bar in piena Garlasco, alle 9 di sera, un ragazzo giura di avere visto in quel computer immagini dove c’era anche Alberto: «Le ho viste, sì, ma era con l’amico, roba fra loro». Si parla di bambini, li hai visti almeno una volta? «Mai. Avrei vomitato o l’avrei massacrato d’istinto di botte». E Chiara? «Non la conoscevo, ma una sua amica ha detto una parola che capisco solo adesso: incredula». Incredula perché? Lei ha detto: «Chiara mi chiedeva: che senso ha? Era precipitata in un altro mondo».
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