«Ma a Cuba i Pacs sono già in parlamento». Parla Mariela Castro, figlia di Raul: «Rutelli ci accusa di perseguitare i gay, ma discutiamo leggi impossibili da voi».
(Emanuele Giordana - Il Manifesto) «Francesco Rutelli ha condannato a morte i gay cubani. Cuba no». La risolve con una battuta in un largo sorriso Mariela Castro (nella foto), figlia di Raul, capo provvisorio dello stato di Cuba. Ma l’arrabbiatura è forte davvero. Qualche giorno fa il vicepresidente del consiglio si è lasciato andare a un’esternazione in cui ha abbinato Cuba e Iran in merito alle condanne a morte contro i gay. «Ho letto di questo afflato missionario per liberare dal rischio della pena capitale i gay iraniani e cubani. Mi sono sorpresa perché un uomo che ha una tale responsabilità pubblica dovrebbe informarsi prima di parlare pubblicamente. Informarsi bene.
Forse non sa, non solo che a Cuba l’omosessualità non viene punita dalla legge, ma che in parlamento giace una proposta di “unione legale” che darà agli omosessuali gli stessi identici diritti che hanno gli eterosessuali quando vi è un’unione consensuale fuori dal matrimonio. A sentire le vostre associazioni gay, mi pare di capire che in Italia c’è molto dibattito e
proteste proprio su questo argomento. Insomma mi pare che da voi ci sia molta insoddisfazione tra gay, lesbiche e transessuali. Forse il signor Rutelli dovrebbe occuparsi degli italiani. Dei cubani già ci stiamo occupando noi». Mariela Castro è la direttrice del Cenesex, il Centro cubano di educazione sessuale che, da diversi anni (era diretto da sua madre) si batte per far avanzare la battaglia sui diritti. L’occasione per parlarne è un incontro, ospitato dalla provincia di Firenze e organizzato dal Programma per lo sviluppo dell’Onu (Undp) che ha per oggetto il «rispetto delle differenze».
Una battaglia che non incontra difficoltà?
Certo che ne incontra, come ovunque e soprattutto in società contrassegnate da «machismo» e da scarso rispetto delle diversità. Così a Cuba e così mi pare in Italia. Ma i successi ci sono. Ereditammo il codice spagnolo che puniva gli omosessuali che «davano scandalo» pubblico, ma che comunque non prevedeva per loro la pena capitale: con la Rivoluzione, il movimento
femminile negli anni Ottanta cominciò una vera e propria lotta che ha cambiato la cultura cubana. Già dal ‘79, ad esempio, i transessuali sono in carico al sistema sanitario nazionale. C’è ancora molto da fare certo ma stiamo lavorando: adesso è in corso una campagna di educazione sessuale attraverso la stampa e facciamo pressione sui parlamentari con la nostra rivista e le nostre raccomandazioni (a marzo la Giunti pubblicherà una guida per adolescenti del Cenesex dove si parla apertamente di omosessualità ndr).
Ad esempio?
Miriamo a una cultura sempre più aperta verso omosessuali, bisessuali, transessuali. E’ già stato approvato che le operazioni chirurgiche richieste dai trans siano a carico dello stato.
Le reazioni?
Positive secondo i sondaggi anche tra leader religiosi, intellettuali, la gente in generale. Prima della rivoluzione, Cuba era una società razzista e maschilista ma le leggi sono andate verso l’affermazione delle pari opportunità.
La nuova legge sui diritti delle coppie omosessuali?
Alcuni pensano che potrebbe passare per decreto ed essere poi approvata dal Consiglio di stato. Altri che se ne debba occupare il parlamento. Preferirei questa seconda opzione. Cambiamenti come questo devono essere oggetto di condivisione.
Torno alla pena capitale. A Cuba è in vigore
L’ultimo caso è di diverso tempo fa e riguardava un attentato alla sicurezza dello stato. Ma se mi chiede la mia opinione personale, ritengo che dovrebbe sparire dalla legislazione dell’intero pianeta. Ma tante altre cose devono cambiare. Deve essere condannato anche il terrorismo di stato e i paesi che ne invadono altri.
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