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domenica 23 dicembre 2007

New York s'inchina a Celeste Moratti e al Teatro patologico di Dario D'Ambrosi.

(Rita Sala - Il Messaggero) Ha debuttato a Roma qualche settimana fa, al Teatro Colosseo. In quell’occasione, nonostante fosse la vigilia di un incontro importante come Juventus-Inter, il presidente nerazzurro, Massimo Moratti, scelse il palcoscenico, la “prima” di una pièce drammatica, dolorosa e bellissima in cui sua figlia Celeste, attrice del Teatro Patologico di Dario D’Ambrosi, interpreta il ruolo di un ragazzino cresciuto in un pollaio. Lo spettacolo, I giorni di Antonio, diventato Days of Antonio, ha sedotto ieri sera anche New York, dove Dario, Celeste e gli altri interpreti “patologici” sono andati in scena al Café La Mama, il celebre spazio off Broadway di Ellen Stewart.

Tutto esaurito in platea (D’Ambrosi è il suo teatro sono, nella Grande Mela, amatissimi). In prima fila, il critico del New York Times (il “terribile” Zimmerman, che ha sempre, per Dario e i suoi lavori, parole di grande encomio), nonché i corteggiatissimi recensori di Backstage e del Village Voice. Alla prova generale dell’altra sera ha assistito un pubblico di addetti al lavoro del teatro newyorkese che sono rimasti assolutamente colpiti dalla storia e dall’interpretazione di Celeste Moratti, intensa, forte, struggente nei panni del ragazzo che parlava pigolando, come le galline sue compagne di vita. Sono state apprezzate sia la tragedia (che viene dalla cronaca), sia l’assurda, ma efficace ironia con la quale D’Ambrosi la ripropone. Fra i vip di ieri sera, oltre a Moratti, Ivana Tramp, Julie Taymor (la regista di Titus, Across The Universe) e Ben Gazzara.

La pièce, storia vera di un bambino nato a Veredo (in Lombardia) all'inizio del secolo scorso, una gamba-moncherino, tronca al ginocchio e, per genitori, una coppia di contadini. Antonio - questo il nome del piccolo - viene rinchiuso, per vergogna e per evidente inutilità (non può servire a coltivare la terra, quindi non può neanche occupare un posto dentro casa) nel pollaio. Dalle galline impara a muoversi e a parlare. La madre lo incontra solo quando stende i panni e divide il mangime tra lui e le sue compagne di cella, poi lo lascia lì, a beccare il suo mais.

In scena, conosciamo Antonio diciottenne in manicomio (il ruolo, complicatissimo, è della Moratti), dove è stato rinchiuso per aver avuto, scappando dalla stia, un rapporto con una prostituta, trovata sulla strada provinciale. E' in stanza con Giacomo (lo stesso D'Ambrosi), un alienato con disturbi ossessivi-compulsivi legati all'olfatto e alla pulizia. Tramite i due, lo spettatore entra nelle pieghe agghiaccianti delle dinamiche manicomiali. Aggirando pietismi e retorica, Antonio traccia il percorso di un essere umano alla scoperta della propria identità, un tragitto che finisce dove due vite si scontrano allo specchio, generando un corto circuito fatale. Dario D'Ambrosi e il suo Teatro Patologico indagano da 20 anni nelle pieghe del disturbo mentale: una ricerca nata da una osservazione diretta, “sul campo”, l'ospedale psichiatrico “Paolo Pini” di Milano, nel quale l'attore è regista si è fece internare per conoscere le sfaccettature della follia.

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