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martedì 13 novembre 2007

Non c'è PACS nemmeno dopo la morte.

(Il blog di Lameduck) Tempo fa leggevo un’interessante intervista con una giovane statista emergente la quale, interrogata sui diritti da concedere per legge alle persone conviventi, gay ed etero, così rispondeva:

"I diritti individuali sono già garantiti. L'unica cosa che i Dico avrebbero portato sarebbe stata la pensione di reversibilità per i conviventi, che d'altra parte il sistema pensionistico nazionale non sarebbe stato in grado di sostenere. I figli, il diritto alla visita in ospedale: tutto questo già c'è e quel che non c'è si può correggere caso per caso. Esistono le scritture private. Stiamo parlando di una questione che riguarda una minoranza del paese, non sono queste le priorità di un governo".
Dev’essere stata l’emozione della ribalta ma la signora, che tra l’altro si onora ella stessa di far parte della categoria dei conviventi, è riuscita ad inanellare una sequela invidiabile di corbellerie, smontabili una per una con una facilità da mobiletto dell’IKEA.

La prima affermazione è falsa: se i diritti individuali fossero già garantiti non staremmo qui a chiedere i Dico e i Pacs. Sulla pensione di reversibilità: visto che si tratta di una minoranza del paese trovo difficile credere che le casse dell’INPS andrebbero in rosso a causa di qualche pensione in più. I figli: se i figli vogliono sono in grado di cacciare di casa dall’oggi al domani la convivente del genitore appena deceduto che magari, vedovo, si era rifatto una vita con una compagna. Accade ogni giorno e si tratta di figli che bramano di entrare in possesso dell’appartamento in eredità e non sono certo mossi da chissà quali nobili propositi. Occorrebbe una legge per difendere i conviventi dai figli, non il contrario.
Le visite in ospedale. Certo, come compagna/o di un ricoverato sarà difficile che qualcuno mi impedisca di accudirlo ma se per caso vi sono dei figli che vogliono opporvisi, ancora una volta potranno farlo. Per non parlare del fatto che se il malato è in coma o comunque non in grado di comunicare, il convivente potrebbe avere gravi difficoltà ad accedere ai dati personali e alle notizie sul suo stato, come un coniuge legittimo. Bisogna pregare di non trovare un medico bacchettone.
Veniamo infine alle scritture private. Ah, qui la volevo, la statista. Scrittura privata significa soldi da versare a notai e altri azzeccagarbugli.
Farò un esempio decisamente macabro ma che secondo me serve egregiamente per far capire come sia necessario regolamentare i diritti civili tra le persone conviventi. Diritti che, secondo il mio modesto parere, sono sempre tra le priorità di qualunque governo.

Sempre più spesso ormai si ricorre alla cremazione e, grazie ad una nuova legge, è possibile ottenere in affidamento domestico le ceneri dei propri cari defunti.
Si fa una semplice domanda di affidamento in Comune con un paio di marche da bollo e ci si porta l’urna a casa. L’affidamento delle ceneri può essere richiesto da un parente stretto: genitori, figli, coniugi, fratelli, insomma consanguinei.
Che succede se, ad esempio, un convivente desidera portarsi a casa le ceneri della propria compagna o del proprio compagno? Le cose si complicano assai.

Ricordo che fino a pochi anni fa, per farsi cremare occorreva iscriversi ad un’apposita associazione che forniva i documenti necessari. Oggi è tutto semplicissimo.
Organizzando un funerale, se la famiglia opta per la cremazione è sufficiente che il coniuge o i figli o altri parenti firmino un’autocertificazione dove è scritto che “il defunto aveva espresso il desiderio di essere cremato”. Può decidere anche solo il coniuge. Se non vi è un coniuge decide il figlio. Solo se i figli sono più di uno è necessario che la decisione sia unanime. Magari non è neanche vero che il poveretto voleva farsi bruciare ma in pratica la famiglia ha il diritto di disporre come vuole del cadavere del proprio caro.

Se invece non vi sono coniugi legittimi ma solo conviventi, almeno secondo la direttiva dell'Emilia Romagna, occorre che la volontà del defunto di affidare le proprie ceneri al convivente sia stata espressa in un regolare testamento, depositato presso un notaio e pubblicato! Sempre che poi non salti su un figlio che decida che la cremazione non si fa più.
Tenendo conto dei tempi e dei costi di una tale trafila, mi sembra che si voglia creare una vera e propria discriminazione nei confronti dei conviventi, e per giunta in contrasto con la normativa molto più elastica che riguarda normalmente la cremazione.

La signora dell’intervista direbbe sicuramente che il problema non esiste perché basta andare dal notaio a fare testamento e mettere una bella firmetta su una scritturina privata per sicurezza. Non so quanto potrebbe costare il tutto ma, tenendo presente l’esosità dei notai e il costo, ad esempio, di 400 euro per la compilazione di un atto notorio per pratiche di successione, posso immaginare che si tratterebbe di una bella cifra. Un’inezia forse per chi ha i dané ma tanto per una famiglia di operai.
E’ giusto discriminare i cittadini sulla base del censo? E’ giusto che uno, solo perché è mio parente, possa avere tutti i diritti, compresi quelli di infilarmi in un forno anche se non volevo e il mio compagno non possa invece avere le mie ceneri?
Perché un convivente non può fare una domanda di affidamento in carta semplice anche quando i consanguinei sono d’accordo, perfino i figli? Io ho fatto l'esempio senza specificare se la coppia di conviventi è etero o gay ma è facile immaginare che nel caso di persone omosessuali le difficoltà sarebbero moltiplicate per mille. Una discriminazione nella discriminazione.

Ho fatto solo un esempio che rimanda magari a cose alle quali non vorremmo mai dover pensare ma che serve per riflettere e per capire che i Dico, i Pacs, o come diavolo vogliamo chiamarli, servono per la gente comune che non ha i soldi per pagarsi le sacre ruote da ungere. Sono necessari per impedire abusi ed ingiustizie e affinchè tutti i cittadini diventino veramente uguali di fronte allo Stato. Tutti, indipendentemente dall'orientamento sessuale.

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