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martedì 27 novembre 2007

Destra cristiana e Nra, Giuliani rischia in casa. Non gli perdona le sue posizioni aperte sui diritti degli omosessuali.

La campagna elettorale di Rudolph Giuliani per conquistare la nomina repubblicana per le Presidenziali americane del 2008 stenta a spiccare il volo. L’ex-sindaco di New York sembra aver esaurito i meriti guadagnati attraverso la brillante prestazione esibita alla guida della Grande Mela nelle ore e nei giorni che hanno seguito l’infame attacco terrorista dell’11 settembre 2001.

(Anthony M. Quattrone - L'Avanti) Il più recente sondaggio, condotto per la Reuters/Zogby durante il periodo dal 14 al 17 Novembre, pone Giuliani al 29 per cento fra gli elettori repubblicani, contro il quindici dell’attore ed ex senatore del Tennessee, Fred Thompson, l’undici per cento per l’ex governatore dell’Arkansas, Mike Huckabee, e il nove per cento per il senatore del Nevada, John McCain, e per l’ex governatore del Massachusetts, Mitt Romney. Altri recenti sondaggi, attestano Giuliani fra il 25 e il 33 per cento. I sondaggi sono sfavorevoli a Giuliani anche nel confronto diretto con i più accreditati candidati democratici. Nel sondaggio condotto a inizio novembre per la NBC News/Wall Street Journal, Giuliani è perdente contro la senatrice di New York, Hillary Clinton, con 45 contro 46 per cento, contro il senatore dell’Illinois, Barack Obama, con 42 contro 44, e anche contro il terzo fra i democratici, l’ex senatore del Nord Carolina, John Edwards, con 44 contro 45 per cento. In casa repubblicana, Giuliani ha difficoltà a conquistare consensi fra alcuni gruppi collocati alla destra del partito. In particolare, la destra religiosa non perdona Giuliani per le sue posizioni aperte sui diritti degli omosessuali e sull’aborto. Circa un mese fa, il 20 ottobre 2007, a Washington, durante un convegno indetto dalla “Family Research Council” - un’organizzazione dei conservatori cristiani - intitolato “Values Voter Summit” (summit degli elettori per i valori), Giuliani ha provato più volte a trovare qualche punto d’accordo con la platea, dichiarando che “le persone di buona fede arrivano a differenti conclusioni sulla necessità di considerare l’aborto legale per alcune circostanze, ma voi ed io, e penso quasi tutti gli americani, condividiamo lo stesso obiettivo: una nazione senza l’aborto; questo è un obiettivo che si può raggiungere attraverso una trasformazione delle menti e dei cuori delle persone”. Il pubblico non ha gradito molto il messaggio di Giuliani, preferendo invece chiari appelli per la totale messa al bando dell’aborto. Forse, però, per Giuliani non è ancora troppo tardi per tentare di guadagnare appoggi all’interno della destra religiosa. Mentre la “Council for National Policy”, un’organizzazione “ombra” di potenti conservatori cristiani, avrebbe decretato a fine settembre, alla presenza del vice presidente Dick Cheney, durante una riunione chiusa al pubblico, a Salt Lake City, che se il Partito repubblicano nominerà un candidato pro-aborto, alludendo a Rudi Giuliani, si prenderà in considerazione la creazione di un terzo partito per le presidenziali del novembre 2008, Giuliani ha ottenuto il 18 novembre il sostegno ufficiale da parte del fondatore della “Christian Coalition” (una potente organizzazione cristiana), Pat Robertson. Robertson è un famoso predicatore televisivo, affiliato al Partito repubblicano, che ha anche gareggiato per la nomina a candidato del partito per le Presidenziali del 1988. Giuliani trova grosse opposizioni anche fra gli oltre quattro milioni di americani che aderiscono alla National Rifle Association (Nra), l’associazione dei possessori d’armi. La Nra difende il diritto dei cittadini di possedere armi, come garantito dal secondo emendamento alla Costituzione degli Stati Uniti, e ha più volte rinfacciato a Giuliani che, quando era sindaco di New York aveva proposto la limitazione di tale diritto. Durante una visita ad un negozio d’armi nel New Hampshire il 24 novembre, Fred Thompson ha ricordato che Giuliani “ha sempre appoggiato tutte le iniziative legislative miranti al controllo della vendita delle armi e ha anche partecipato alle cerimonie per la firma di tali leggi assieme al presidente Bill Clinton”. Gli associati della Nra stanno facendo girare in Internet le dichiarazioni di Giuliani, fatte il 6 marzo 1997, qualche giorno dopo una sparatoria all’Empire State Building, in cui aveva affermato che, “come cittadino privato, come procuratore distrettuale, come candidato a sindaco, e come sindaco, ho sempre sostenuto la necessità di emettere regolamenti più uniformi e più rigidi nella concessione di permessi per il porto d’armi, simili a quelli per ottenere la patente di guida”. Oggi, contrariamente a quanto dichiarato nel 1997, Giuliani si dichiara a favore della piena attuazione del secondo emendamento, a favore del diritto di possedere armi. Le difficoltà incontrate da Giuliani nel tentare di ottenere l’appoggio della destra religiosa e della potente lobby dei possessori d’armi, sono state in parte mitigate dalla sua reputazione d’uomo forte e di grande leader, capace di rendere l’America più sicura. Fra gli elettori moderati di entrambi i partiti, Giuliani avrebbe potuto rappresentare l’unione ideale della necessità di difendere i diritti civili e quella di difendere il Paese dall’aggressione dei terroristi islamici. Tuttavia, negli ultimi giorni, la sua reputazione di politico integerrimo ed efficiente ha cominciato a vacillare. Il “New York Times” del 23 novembre ha pubblicato un articolo intitolato “Il vero Rudi”, in cui si ricorda che quando Giuliani era sindaco di New York, la sua politica nei confronti dei lavoratori “senza documenti”, come vengono chiamati gli immigrati clandestini, era guidata da alti principi morali, mentre oggi, per motivi di puro calcolo politico, l’ex sindaco ha abbracciato tesi più restrittive nei confronti degli immigrati. Il giornale ricorda un appassionato discorso di Giuliani, tenuto il 10 ottobre 1996, presso la Kennedy School of Government, in cui dichiarò che “il movimento contro gli immigrati mette in pericolo il motivo primario che ha reso grande l’America, vale a dire, il rinnovo, la riformazione e il risveglio che sono creati dal continuo flusso d’immigrati”. Il 19 settembre 1995, alle Nazioni unite, Giuliani affermava che, “alle volte, leadership significa assumere posizioni non molto popolari, rigettando delle pericolose mode politiche”. Il giornale ricorda anche un discorso dell’ex sindaco, in cui, appellandosi ai clandestini che vivevano e lavoravano a New York, disse, “se venite qua e lavorate in modo duro e per caso siete dei clandestini, siete proprio una di quelle persone che vogliamo nella nostra città”. Il comportamento da voltagabbana di Giuliani sui temi sociali dell’aborto, i diritti dei gay, il controllo delle armi, e, infine, sui diritti degli immigrati clandestini, sono rilevati da parte degli osservatori democratici per mettere in risalto l’opportunismo politico di Rudi, e, da parte degli osservatori della destra repubblicana, per dimostrare la sua inaffidabilità sui temi cari ai conservatori. Gli attacchi contro Giuliani si sono intensificati proprio nelle ultime settimane anche contro le sue decantate capacità di manager. Il “Washington Post” del 24 novembre ha pubblicato un dettagliato articolo del giornalista Alec MacGillis in cui si analizza come Giuliani abbia scelto i suoi collaboratori quando era sindaco di New York. Nell’articolo, MacGillis nota che mentre nel libro scritto da Giuliani, “Leadership”, c’è un capitolo intitolato “Circondarsi con grandi persone”, nella pratica, i maggiori assistenti di Giuliani non erano stati scelti in base alle loro qualifiche, bensì in base alla loro fedeltà nei suoi confronti. Alcuni degli assistenti di Giuliani sono oggi incriminati per attività illegali, come nel caso dell’ex capo della polizia, Bernard B. Kerik, indiziato per corruzione, frode postale, ostruzione della giustizia e altro ancora. Kerik era stato nominato capo della polizia anche se non aveva i minimi requisiti per quella posizione in quanto non era laureato. Inoltre, la normale procedura investigativa per rilasciargli il nulla osta di sicurezza fu disatteso. Giuliani lo scelse, secondo il giornalista, solo perché gli era molto fedele. Giuliani aveva anche proposto al presidente George W. Bush di nominare Kerik per la posizione di ministro per la sicurezza nazionale, ma, Kerik, dopo essere stato ufficialmente nominato da Bush, ritirò la sua candidatura perché i media vennero a sapere che lo stesso Kerik aveva assunto un’immigrata clandestina per un lavoro domestico. Secondo Jerome Hauer, un noto esperto di terrorismo biologico in America, che ha lavorato per Giuliani dal 1996 al 2000, “le persone competenti nell’amministrazione scappavano via perché si stancavano di lavorare con quelle ai limiti dell’incompetenza“ che Giuliani imponeva. Hauer nota che “Giuliani faceva fuggire via i professionisti perché trovava difficile collaborare con loro. Se non facevano tutto come voleva lui, o se l’interesse si focalizzava più su di loro che su di lui, diventava furioso”. A poche settimane dalle primarie dell’Iowa e del New Hampshire, Giuliani dovrà tentare di neutralizzare le critiche che oggi mettono in dubbio la principale risorsa su cui ha costruito la sua immagine presidenziale, vale a dire, la leadership. I conservatori lo osteggiano sui temi sociali, la stampa mette in risalto il suo trasformismo politico, e i critici puntualizzano la sua condotta poco attenta nella scelta dei collaboratori. Se Giuliani vorrà avere ancora qualche chance per la nomina repubblicana e per vincere contro i democratici, non sarà sufficiente continuare a trasformarsi a secondo della preferenza politica della platea. Serve “il vero Rudi” come scrive il “New York Times”, prima che sia troppo tardi.

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