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venerdì 4 luglio 2008

La risposta di un cieco Grillini alle critiche di Barbagli sulle sconfitte del movimento.

Per Barbagli la rottura del rapporto con i partiti e la mancata approvazione delle leggi sui diritti rappreesentano una disfatta del movimento.

(Franco Grillini - Il domani di Bologna) Ogni anno in tutto il mondo dove esistono regimi democratici si tengono, nelle capitali e spesso anche nelle città minori, le manifestazioni del gay pride, poi ribattezzate semplicemente “pride” per consentire a chiunque vi partecipi di riconoscersi in quella che di fatto rappresenta dappertutto la principale manifestazione per i diritti, per le libertà, per la laicità dello Stato. La più imponente di queste manifestazioni è ormai senza dubbio quella di San Paolo del Brasile, dove in tre giorni di corteo ininterrotti hanno sfilato cinque milioni di persone, segno del clamoroso cambiamento che ha interessato negli ultimi decenni tutta l’area dell’America Latina. Anche in Italia le manifestazioni del pride sono andate via via crescendo, in termini numerici e di importanza politica, a partire da quell’eroico migliaio che il 28 giugno 1982 manifestò per le vie di Bologna arrivando a Porta Saragozza per inaugurare il primo “Centro di cultura omosessuale” dato in affitto da una amministrazione pubblica, fino alla manifestazione di Roma del 1994 voluta dal congresso dell’Arcigay di Riccione e che per la prima volta in Italia diede vita ad un pride di massa.

Da allora di strada ne è stata fatta moltissima e Marzio Barbagli ha perfettamente ragione quando dice che il movimento omosessuale ha “sfondato nella società”, perché non solo siamo riusciti a fare anche in Italia grandi manifestazioni di massa (dal world pride ai pride regionali come quelli di Padova e di Bari, per finire alla gigantesca manifestazione di un anno fa in risposta al family day) ma, quel che più conta, siamo riusciti a garantire a molte decine di migliaia di persone in tutto il paese una vita migliore, spesso anche un’integrazione serena e soprattutto quella “visibilità” che ha cancellato definitivamente secoli di omertà e di doppia vita. Mi convince invece assai di meno il ragionamento dell’amico Barbagli (autore insieme a Colombo del fondamentale testo “Omosessuali moderni”, il Mulino) sulla presunta sconfitta politica del movimento omosessuale per il quale sarebbe addirittura “annullato” il suo potere politico. È vero che si è ridotta drasticamente la rappresentanza parlamentare diretta del movimento Lgbt italiano in parlamento, la quale, però, rappresentava nella scorsa legislatura un caso quasi unico in Europa: in genere ad essere eletti nei parlamenti non sono i rappresentanti del movimento ma le lesbiche e gli omosessuali dei partiti. In realtà, quello che è venuto meno dopo lo tzunami elettorale non è soltanto la rappresentanza della sinistra alla Camera e al Senato, ma, con la fine dei partiti tradizionali della sinistra italiana, è venuta meno anche la rappresentanza del mondo laico, nel suo insieme. Se si esclude infatti l’opera benemerita della pattuglia radicale, le forze parlamentari del centro-sinistra rappresentano di fatto forze politiche neodemocristiane o comunque più di centro che di sinistra, per stessa ammissione dei loro leader. Pertanto il problema non esiste ovviamente solo tra gli omosessuali ma è comune ad una fetta assai rilevante di popolazione, che non condivide una politica sotto scacco della gerarchia, ma che non riesce ad essere efficacemente rappresentata nell’attuale parlamento.

In realtà, il movimento Lgbt italiano conserva una fortissima influenza politica e quindi anche un altrettanto rilevante ruolo politico, per diverse ragioni. La prima sta nella sua capacità di mobilitazione che appare assai rilevante, anche nella tornata dei ben cinque gay pride italiani di giugno che hanno già visto la presenza alle manifestazioni di centinaia di migliaia di persone, mentre anche il pride di Bologna si preannuncia imponente. Segno del permanere, nella società e nella politica, di un conflitto che è ben lungi dall’essere risolto. Si pensi ad esempio all’enorme ruolo politico avuto da quel milione di persone che un anno fa ha sfilato per oltre otto ore per le vie della capitale in risposta al family day, family day che, nelle intenzioni degli organizzatori, aveva il compito non solo di bloccare il disegno di legge governativo sui Dico (per altro già deceduto in culla) ma, soprattutto, di rappresentare la base per la costruzione del ruiniano “partito di Dio”, che doveva riunificare tutte le anime del cattolicesimo politico per ricostruire in Italia una grande democrazia cristiana, sogno e nostalgia senile della nostra gerarchia vaticana. È bastata quell’imponente manifestazione per cancellare questo progetto, e il mesto pensionamento del suo ideatore Ruini, avvenuto qualche giorno fa, rappresenta il suggello definitivo alla sconfitta di una grande progetto politico a causa e per merito del movimento Lgbt italiano.

La seconda ragione per cui il movimento Lgbt italiano conserva un forte ruolo politico sta nella sua ragion d’essere, e cioè nella battaglia per i diritti e le libertà. Proprio in questo giorno mi è capitato di essere al centro di una polemica con “ringhio” Gattuso, a proposito della sua definizione dei matrimoni gay spagnoli come “scandalo” in occasione della partita Italia-Spagna. Si è visto come è andata a finire: non solo l’Italia è stata battuta a calcio, ma praticamente tutti gli indicatori economici e sociali ci danno ormai indietro rispetto alla Spagna di Zapatero. È appena il caso di dire che mentre “ringhio” faceva le sue battute tradizional-machiste, tra i diecimila tifosi spagnoli che hanno seguito la partita di calcio era stato ammesso ufficialmente un gruppo di tifosi gay, che ha seguito la partita nello stadio di Vienna. Il caso Spagna dimostra la superiorità politica, sociale ed economica, di un modello, quello libertario spagnolo, sul tradizionalismo clericale che domina il nostro paese e che rappresenta uno dei principali fattori di freno del suo sviluppo. È evidente, quindi, che il ruolo politico del movimento Lgbt italiano da questo punto di vista diventa molto rilevante, perché era e continua ad essere uno dei pochi movimenti politici capace di mobilitazione e di presenza costante sul territorio, ma soprattutto perché è, nei fatti, un importantissimo elemento della necessaria modernizzazione del Paese.
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Ndr. La risposta data da Grillini a Barbagli, che è forse il maggiore studioso del movimento gay e delle sue problematiche, è a dir poco grottesca. Con posizioni come queste, per quanti anni la sinistra sarà costretta a perdere? Ma soprattutto quanti anni ancora i gay dovranno attendere a veder riconosciuti i loro diritti con esponenti "ciechi" come l'ex on.le Franco Grillini che vede un movimento (quale?) in forma e che, secondo lui, sarebbe addirittura riuscito ad evitare il ripetersi del family day. Meno male che almeno questo l'han mandato a casa. (Apis)

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