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venerdì 4 luglio 2008

Le idee scadute di sinistra vengono definite di destra.

(Pierluigi Magnaschi - Italia Oggi) Gianni Cuperlo, triestino, già responsabile della comunicazione dei Ds, capo fila dei “quarantenni del Pd” che dovrebbero prendere le redini del comando, per succedere, sempre secondo lui, alla generazione spompata dei Veltroni-Fassino-D’Alema, ha detto: “Di Pietro e Travaglio esprimono una cultura di destra”.
Il meccanismo è il solito. Ciò che della sinistra di un tempo non piace più alla sinistra diventata più potabile e, in ogni caso, omeopatica, viene sganciato definendolo di destra. Non si dichiara mai che si è sbagliato nel fare certe scelte (e perciò si cambia parere, del tutto legittimamente) ma si gira la scelta giudicata non più utile, sulle spalle inconsapevoli della destra , ma utili per la sinistra.
Sentire dire, oggi, da un componente di vertice dell’ex Pds e oggi personaggio rilievo del Pd, che “Di Pietro e Travaglio esprimono una cultura di destra” ha dello stupefacente, se il concetto viene espresso, dall’esponente di un partito, il Pd, che, dopo essersi dichiarato “a vocazione maggioritaria” ha deciso, come unica eccezione al suo programma di “correre da solo” nelle ultime elezioni politiche, di imbarcare nella sua lista, in modo esplicito, anche, e solo, il simbolo dell’Italia dei valori che adesso, per bocca di Cuperlo, si scopre essere un partito di “destra”.
La scelta, allora accettata da tutta la componente ex diessina del Pd, era stravagante.

Il Pd di Veltroni infatti aveva accolto, nella sua coalizione, un solo partito diverso dal Pd, l’Idv di Di Pietro, e aveva invece lasciato a piedi persino i simboli del partito socialista e del partito radicale. Il primo, rappresenta, quanto meno, la formazione politica alla quale la componente diessina del Pd aspira entrare a livello europeo (il Pse) , mentre i radicali avrebbero potuto dare, a una formazione con forti radici dirigiste, un supplemento di liberalismo di sinistra esplicito e non contestabile da nessuno. Per Cuperlo, anche Marco Travaglio, il collaboratore più corrosivo della prima pagina dell’Unità (che, oltre ad essere “il quotidiano di Gramsci” è anche quello sostenuto in modo determinante dai contributi dei Ds) sarebbe un editorialista di destra. Può essere che Travaglio, oggi, non piaccia più alla dirigenza diessina. Ma dire che Travaglio è di destra sarebbe come affermare che il quotidiano finanziato dal partito ha, come firma di punta, un collaboratore di destra. Non sarebbe meglio dire: su Di Pietro (anche se lo frequentavamo da più di dieci anni) ci siamo sbagliati e adesso le nostre strade divaricano. E Travaglio è l’esempio del partito delle procure che abbiamo usato ma che non ci interessa più perché ci fa deragliare il partito. Tutto qui, in chiarezza. Senza salti della quaglia.
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