Signor Storm, il fotogiornalismo è davvero così rischio?
Nessuno, tra professionisti della fotografia e del giornalismo, scatta foto e scrive articoli solamente per una questione di denaro. Il fotoreportage è una professione che suscita molta passione in chi la pratica, ti ci butti perché offre esperienze lavorative straordinarie. Detto questo, oggi i media tradizionali come la stampa, a cui i fotoreporter sono vincolati, non garantiscono più i profitti di dieci o quindici anni fa. Tra il calo di lettori e di pubblicità, la crisi del giornalismo cartaceo ha colpito in pieno la categoria.
Qual è la chiave per uscire dal baratro?
Primo: puntare tutto sulla qualità. Così come era successo nel rapporto tra la tv e la radio, internet non ucciderà la stampa, anche se la sta danneggiando con un giornalismo fai-da-te che vede cittadini-utenti diffondere gratuitamente dei contenuti spacciandoli per articoli giornalisti di alto profilo. Questo trend continuerà, e colpirà soltanto il giornalismo di basso rango. A ruota, è necessario per i fotoreporter fare leva sui nuovi mezzi di comunicazione disponibili per far combaciare un’ampia distribuzione dei propri servizi fotogiornalistici con un minimo di sicurezza finanziaria.
Paradossalmente, sarebbe quindi Internet l’antidoto per curare i sintomi della professione?
Non del tutto. Bisogna saper sfruttare i vantaggi che ti offre ciascun mezzo di comunicazione di massa, sia quelli tradizionali come il giornale, il video o la radio sia Internet. Ovviamente, questo spinge i fotoreporter a rivoluzionare il loro modo di lavorare. Oggi non ti puoi più accontentare di recarti in un posto e fotografare. Durante il reportage, è ormai necessario adoperare tutti i supporti tecnologici che ti consentono di arricchire il lavoro sul campo. Questo significa associare alle foto e ai testi del materiale audio e anche video. La stessa testimonianza del fotoreporter raccolta sotto forma sonora e diffusa su internet come sottofondo del servizio fotografico rafforza considerevolmente l’impatto delle immagini.
Ma si puo’ ancora parlare di fotografia?
Certo. Alla base di tutto, ci sono le foto, non immagini filmate. Prendiamo il servizio di Luis Sinco sui reduci americani dell’Iraq, Marlboro Marine. Sono convinto che la sovrapposizione degli scatti con le voci dei protagonisti offre al lettore uno sguardo ancor più cruento sul contesto devastante in cui questi soldati hanno combattuto. Piuttosto che limitarsi a fotografare i soggetti di una storia, l’audio consente di dare loro una voce. Dimenticarli diventa ancora più difficile.
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