Il modulo Franceschini pare frutto di una logica stringente. Il numero due ha chiesto “Coraggio per passare all’elezione diretta di una persona che abbia la forza di decidere e di guidare il Paese. Che poi sia il presidente della Repubblica eletto, come votò la Bicamerale nel ‘97, o che sia un modello che si avvicini di più al sindaco d’Italia, si vedrà”. Insomma: da sindaco di Roma a quello della nazione il passo, secondo Franceschini (e Veltroni), sarebbe facile e breve.
Non lo è affatto proprio per il protagonista della Bicamerale, Massimo D’Alema che, da convinto sostenitore del modello tedesco (con preferenze), butta lì una domanda e una considerazione: se quello di Franceschini “è un fuoco d’artificio di capodanno allora non vale niente. Ma se è una cosa seria, allora salta tutto: le riforme, il centrosinistra e il governo”. A non convincere il vicepremier è la tempistica dell’intervento del ticket del Pd: “Perché, proprio alla vigilia della ripresa del dibattito tra i Poli sul modello tedesco, con consensi trasversali diffusi, si riscopre il modello francese?”. Tanto che, com’è ormai chiaro da più di un anno, su quel sistema non esiste una maggioranza politica, non solo tra i banchi trasversali del Parlamento, ma neanche tra le fila litigiose dell’Unione.
I timori di D’Alema sono tutti rivolti alla Cosa Rossa. Vero che la proposta di Walter e Dario piace ai presidenzialisti di An (”L’apertura al presidenzialismo va salutata con soddisfazione”, dice Italo Bocchino, responsabile per le riforme del partito di Fini), ai mastelliani dell’Udeur e ai radicali, ma rischia di inimicarsi La Sinistra-Arcobaleno. Da dove non si è fatta attendere una netta bocciatura. Trasporre a livello nazionale il modello romano non va giù alla Cosa Rossa, che proprio nella capitale da tempo sta pensando di aprire i file del suo scontento su sicurezza, decoro urbano, strade mal tenute, trasporti inadeguati, unioni civili. Gennaro Migliore, presidente dei deputati Prc, infatti non ha dubbi: per lui la proposta del Sindaco d’Italia è “Una vera follia impraticabile”.
In questo, il disagio del ministro degli Esteri coincide con quello premier Romano Prodi. Uniti come mai in passato, i due hanno oggi interessi convergenti: tenere in vita il governo, evitando che Veltroni rompa il patto con la sinistra; tenere in vita il dalemismo dentro il Pd, evitando che Veltroni si prenda tutto il potere.
Per il premier in vacanza, parla il deputato Franco Monaco: “Sorprende un po’ lo stop and go o lo zig zag in tema di riforme. È anche la conferma dell’esigenza, da noi più volte avanzata, di un confronto aperto”. Ancor più dura un’altra prodiana doc: Rosy Bindi, già avversaria del duo Veltroni-Franceschini alle primarie dello scorso ottobre. Il ministro della Famiglia ha addirittura chiesto di convocare immediatamente l’assemblea costituente del partito: “Le riforme istituzionali e la riforma elettorale sono cose molto serie. Continuare a lanciare proposte estemporanee con interviste e comunicati stampa non serve a nulla. Anzi rischia di gettare ancor più confusione in un percorso già tanto difficile”.
Difficile da realizzare ma anche da spiegare agli italiani. Che, in mezzo a questo caos di schemi e modelli, è facile prevedere che continueranno a dedicarsi alla nazionale di calcio.
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