(Panorama) Tutto inizia dall’inizio. Frase buona per il titolo di un film, ma anche (veltronianamente) per la breve storia del Partito democratico, la sua fondazione, la sua sorprendente crisi prematura. “Tutto inizia dall’inizio” dice a Panorama Arturo Parisi, progettista dell’Ulivo ieri e oppositore interno del Pd di Walter Veltroni oggi. L’ex ministro della Difesa nel centrosinistra è uno dei pochi che possa dire a testa alta: l’avevo detto. Ha dimostrato nuragica durezza nel criticare il ponte di comando del loft e nel chiedere il ritorno del centrosinistra a una rinnovata formula dell’Ulivo. I dialoghi dei consiglieri di Romano Prodi sulle primarie nel Pd, intercettati nell’ambito dell’inchiesta Siemens dalla procura di Bolzano, non lasciano spazio a dubbi politici: il presidente del Consiglio Prodi cercava di contrastare la vittoria annunciata di Veltroni per evitare quella che nei colloqui privati viene chiamata “farsa” del candidato unico, o quasi.
“Invece di candidarsi alla leadership del nuovo partito per succedere poi nella premiership del nuovo governo, Veltroni rovesciò la sequenza, candidandosi immediatamente alla premiership e in quanto tale alla leadership del partito” ricorda Parisi. Ovi e Cavazza parlano delle primarie del Pd nei giorni che precedono l’investitura ufficiale di Veltroni. Prima della discesa in campo di Rosy Bindi ed Enrico Letta, candidati deboli destinati a soccombere al cospetto della macchina elettorale dei Ds e degli ex dc di Franco Marini.
“Nelle prime scelte sta tutto lo sviluppo successivo. Innanzitutto nella sua investitura unanimistica da parte dell’apparato, che riconobbe in lui l’unico candidato spendibile nella gara di popolarità con Silvio Berlusconi, anche se il meno adatto a fondare un partito. E poi nel discorso del Lingotto, che proponeva un programma per un nuovo governo e non un progetto di un partito nuovo. Tutto il resto ne viene di conseguenza” continua Parisi in un flashback che, alla luce degli avvenimenti e delle scelte fatte da Veltroni, è rivelatore degli errori compiuti.
Parisi è un gentiluomo e non dice quali errori ha compiuto Prodi. Il primo, lampante, è non avere ostacolato subito e alla luce del sole la corsa semisolitaria di Veltroni, appoggiando la linea sostenuta da Parisi invece di affidarsi alle sortite spuntate e discutibili dei suoi consiglieri più pratici di business che di politica. Quando discutono del progetto per le primarie, la porta del confronto con Veltroni, duro e spietato come può capitare in politica, è ancora aperta. I Ds inoltre sono nel vortice del caso Unipol: il 22 maggio 2007 Il Giornale apre il caso Visco-Guardia di finanza, mentre a metà luglio 2007 il magistrato di Milano Clementina Forleo trasmette al Parlamento le trascrizioni di 68 delle intercettazioni sulle scalate di Antonveneta, Bnl e Rcs Mediagroup e cita politici della Quercia del calibro di Piero Fassino, Massimo D’Alema e Nicola Latorre, chiedendo di poterle utilizzare.
L’allora maggioranza di centrosinistra è allo sbando, pressata dalle procure di Nord (Milano, inchiesta Unipol) e Sud (Catanzaro, inchiesta Why not), si dibatte in una crisi strisciante. Il procuratore di Catanzaro Luigi De Magistris iscrive il 13 luglio 2007 Romano Prodi nel registro degli indagati dell’inchiesta Why not e qualche mese dopo, il 14 ottobre 2007 (ironia della sorte, giorno delle primarie del Pd), tra gli indagati finisce anche il ministro della Giustizia, Clemente Mastella.
Ds e Margherita si trovano nel pieno di una tempesta politico-giudiziaria mentre è in corso la delicata costruzione del Pd, le rispettive leadership sono ammaccate e il vento anticasta le travolge. In ordine sparso, e confusamente in cerca d’autore, trovano rabdomanticamente l’uomo della salvezza in Veltroni, ma il sindaco di Roma non vuole avversari e ha un atteggiamento liquidatorio nei confronti del Professore di Bologna. “Dietro il sostegno formale a Prodi c’era la contestazione dei limiti e delle contraddizioni del suo governo” sostiene Parisi. Politicamente si consuma la frattura con la sinistra radicale, il piano secondo Parisi è chiaro: “In vista di una accelerata sostituzione del governo, c’era la separazione consensuale concordata con Fausto Bertinotti, guidata dall’illusione che dividersi da buoni fratelli fosse per ambedue elettoralmente più redditizio che arrivare a un vero confronto su un progetto politico. Mentre Berlusconi portava a ulteriore avanzamento, con le buone e con le cattive, il processo di unificazione del polo di centrodestra iniziato nel 1994, Veltroni metteva fine a quel processo proclamando la discontinuità con i 15 anni della esperienza dell’Ulivo” ricorda l’ex ministro della Difesa.
La rottura dell’esperienza ulivista per Parisi è l’origine della crisi del partito guidato da Veltroni: “Il Pd invece di riproporsi in continuità con l’Ulivo come il baricentro, la guida e il timone del campo di centrosinistra, esattamente come il Pdl nell’altro polo, proponeva la sua parzialità come totalità guidato dall’illusione di battere pressoché in solitudine lo schieramento avverso”.
Lanfranco Tenaglia, ministro ombra della Giustizia del Pd
Il disegno veltroniano fallisce, prima che nell’urna, nelle manovre delle primarie, quando è chiara la volontà di depotenziare i prodiani ed escludere outsider di peso scarsamente controllabili come Marco Pannella e Antonio Di Pietro. Con il senno di poi, la defenestrazione dalle primarie dei radicali e del leader dell’Italia dei valori è stata la premessa degli smarcamenti dei radicali e, nel caso di Di Pietro, della costruzione di una linea alternativa nell’opposizione che oggi drena consensi alla base del Pd ed è una delle ragioni più gravi della crisi di leadership di Veltroni, che nel frattempo ha perso pure Prodi, dimessosi dalla presidenza del Pd alla vigilia delle elezioni.
Il destino con il Pd si diverte a giocare a dadi, i dalemiani che nel 2007, anche sotto la pressione giudiziaria, avevano digerito il boccone amaro della scelta di Veltroni (avversario storico di Massimo D’Alema) si ritrovano di nuovo nel mirino della magistratura.
In questi giorni la procura di Milano ha chiesto nuovamente al Parlamento di poter utilizzare le intercettazioni che riguardano il senatore Nicola Latorre, braccio destro di D’Alema. Riemerge così il fascicolo depositato da Clementina Forleo nel luglio 2007 sul caso Unipol. Veltroni finora non ha voluto ascoltare chi nel centrosinistra chiede un riequilibrio del rapporto tra magistratura e politica e ha scelto di non tagliare il cordone ombelicale con la magistratura associata, come testimonia la nomina dell’ex magistrato Lanfranco Tenaglia a ministro ombra della Giustizia. Veltroni finora aveva tratto vantaggio da questa situazione, ma oggi rischia di pagarne le conseguenze, il gioco infatti sta per sfuggirgli di mano. D’Alema si è sottratto all’abbraccio di Walter e manovra nel partito con l’associazione Red, mentre i prodiani, sempre più esacerbati e solitari, sembrano già con la valigia in mano. Tutto inizia dall’inizio. Anche la fine.
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