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sabato 19 gennaio 2008

Dialogo interreligioso, divorzio, omosessualità. Cosa c'è dietro il richiamo del papa ai gesuiti,

Nella lettera al preposito uscente, Benedetto XVI richiama la Compagnia di Gesù all'obbedienza, così come aveva già fatto il cardinale Rodé. Temi generali, ma riferimenti ben precisi.

(Matteo Spicuglia - Korazym.org) E' stato il filo conduttore della 35ma congregazione generale dei Gesuiti: il richiamo esplicito all'obbedienza al magistero e al papa. Nell'omelia della messa di apertura del 7 gennaio, il cardinale Franc Rodé, prefetto della Congregazione per gli Istituti di Vita consacrata, aveva usato parole dure: "Con tristezza e inquietudine vedo un crescente allontanamento dalla Gerarchia. La spiritualità ignaziana di servizio apostolico sotto il Romano Pontefice non accetta questa separazione". Concetto sottolineato anche da Benedetto XVI nella lettera inviata il 10 gennaio al preposito uscente padre Peter-Hans Kolvenbach. Un testo diffuso in sordina, quasi sotto forma di comunicazione interna tra gesuiti, pubblicato dalla sala stampa della Santa Sede soltanto ieri, dopo che la lettera era già disponibile sui siti internet dell'ordine. Il richiamo è lo stesso del cardinale: obbedienza. "Spero fortemente - scrive il papa - che la Congregazione affermi con chiarezza l'autentico carisma del fondatore, per incoraggiare tutti i gesuiti a promuovere la vera e sana dottrina cattolica", e "la propria totale adesione alla dottrina cattolica, in particolare su quei punti nevralgici che oggi sono duramente attaccati dalla cultura secolare". Il riferimento è circostanziato: "il rapporto "tra Cristo e le religioni, alcuni aspetti della teologia della liberazione e vari punti della morale sessuale, soprattutto per quel che riguarda l'indissolubilità del matrimonio e la pastorale delle persone omosessuali".

Temi generali, ma questioni che si ricollegano ad episodi precisi avvenuti in passato, che hanno collocato diversi gesuiti nel cosiddetto fronte progressista. Sui temi del dialogo interreligioso e la teologia della liberazione, per esempio, sono gesuiti due dei teologi che hanno subito negli ultimi anni i provvedimenti della Congregazione per la dottrina della fede. Il belga Jacques Dupuis (scomparso nel 2004), per esempio, nel 1997 fu contestato per il suo libro "Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso", uno dei testi cardine della corrente teologica del pluralismo religioso che, pur affermando la centralità salvifica di Cristo, riconosce anche le altre religioni come via per la salvezza. L'allora prefetto della Congregazione, cardinale Joseph Ratzinger, rispose con una notificazione (a cui non seguì una condanna vera e propria), per ribadire che è errato sostenere che i semi di verità delle religioni non cristiane "non derivano infine dalla fonte-mediazione di Gesù Cristo".

Più recentemente sono state due opere del padre di origine basca Jon Sobrino a finire sotto la lente della Congregazione per la dottrina della fede. Nel 2006, una notificazione (senza sanzioni) contestò certe posizioni vicine alla teologia della liberazione, a cominciare dall'idea secondo cui "la Chiesa dei poveri è il luogo ecclesiale della cristologia ed offre ad essa l'orientamento fondamentale". Al contrario, fu la replica della Santa Sede, "la Chiesa non può esprimersi a sostegno di categorie sociologiche e ideologiche riduttrici, che farebbero di tale preferenza una scelta faziosa e di natura conflittuale".

Ma è sul piano della morale che il discorso diventa più complesso. Parlando di matrimonio e di omosessualità, il papa non dimentica certo quanto avvenuto in Spagna nel dicembre 2006, quando la rivista di Teologia Pastorale Sal Terrae espresse aperture nette su questi temi, spiegando per esempio che "il divorzio non è peccato" e che l'omosessualità deve essere letta nell'ottica della vocazione cristiana. Il primo punto fu trattato da Pablo Guerrero Rodríguez in un articolo che respingeva l'equazione divorziato uguale scomunicato e auspicava una maggiore flessibilità sull'accesso all'eucaristia. Nessun divieto, insomma, ma il suggerimento a comportarsi secondo coscienza. "Considerare i casi particolari - esortava Guerrero - guardare con dolcezza e tenerezza al dolore delle persone concrete, e a partire da questo, interpretare la legge, pronunciare una parola di consolazione e di liberazione, rendere partecipi questi fratelli che soffrono per il Pane diviso, suddiviso, condiviso… è relativismo? È lassismo morale? Io credo di no". Sullo stesso problema, il teologo morale López Azpitarte evidenziava "il valore positivo della disobbedienza e della trasgressione", atti "molto fecondi per la vita della Chiesa e l'avanzamento della dottrina".

Quanto all'omosessualità, il padre psicoterapeuta José Antonio Garciá Monge, chiedeva di riconoscere agli omosessuali "il loro ambito, la loro vocazione cristiana, e di recuperare lo sguardo di Dio su di loro". "Questo porta con sé un atteggiamento di rispetto, - scriveva - di lucidità nell'amore, di flessibilità nella carità e una disposizione all'apertura e all'accoglienza verso tutto quello che egli veramente cerca". In pratica, veniva indicato un cambiamento di prospettiva che mettesse da parte i principi dogmatici, a favore dell'analisi dei casi concreti. "La Chiesa - era il commento - dovrà offrire gli aiuti richiesti, ed un processo di inserimento, riconoscimento ed accompagnamento".

Alla luce di questi esempi, diventa facile contestualizzare l'appello del papa e del cardinale Rodé. Come a dire che un conto è dibattere, altra cosa relativizzare la fedeltà al Magistero. Un limite di non poco conto per il ruolo di teologo, a maggior ragione per uno gesuita, che oltre ai tre voti di castità, povertà e obbedienza, risponde anche al quarto voto speciale di obbedienza "cieca" al Papa: "perinde ac cadaver".

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