(Christian Rocca) New York. La guerra culturale sugli embrioni probabilmente è finita, almeno così sostengono i grandi giornali liberal americani, gli stessi che in questi anni hanno alimentato il fronte “scientifico” del dibattito e spesso sottostimato quello “etico”. Il punto di scontro è quello della distruzione dell’embrione, cioè del primo stadio della vita umana, al fine di cercare disperatamente nuove e possibili cure per le persone in carne e ossa. I sostenitori della sperimentazione credono sia immorale fermare il progresso della ricerca scientifica, gli altri che non sia lecito porre fine a una vita umana per curarne un’altra.
Ora, con tutte le cautele necessarie, lo scontro è stato superato grazie a due ricercatori del Wisconsin e del Giappone e, come ha detto uno dei due, “tra dieci anni questo dibattito sarà soltanto una simpatica nota a margine della storia”. I due scienziati hanno infatti scoperto il modo di trasformare normalissime cellule di pelle umana in cellule staminali embrionali, esattamente quelle su cui da una decina d’anni il mondo scientifico ripone le maggiori aspettative per trovare rimedi a malattie oggi incurabili. Il procedimento dei due scienziati non comporta né l’uso né la distruzione degli embrioni. Le nuove staminali embrionali etiche si chiamano “cellule ips”, “induced pluripotent stem cells”, “staminali pluripotenti indotte”.
Il lieto fine, come nei film hollywoodiani, è reso ancora più formidabile dal fatto che uno dei due grandi pacificatori, lo scienziato del Wisconsin, è James A. Thomson 8nella foto). Il nome ai profani del settore non dice niente, ma il New York Times racconta che il dottor Thomson, 48 anni, è lo stesso Thomson che nel 1998 è stato il primo ricercatore ad aver estratto cellule staminali da embrioni umani, distruggendo nel processo l’embrione e avviando un dibattito etico e culturale in America e nel resto del mondo. Nove anni dopo, ha raccontato lo stesso Thomson al Times, in quegli stessi laboratori è riuscito a risolvere le sue preoccupazioni etiche, ben presenti e pressanti malgrado sapesse che gli esperimenti sugli embrioni avrebbero offerto informazioni fondamentali per capire lo sviluppo umano e individuare nuove cure: “Se la ricerca sulle cellule staminali embrionali umane non mette almeno un pizzico di disagio, vuole dire che non si è riflettuto abbastanza – ha detto Thomson al Times – Io ci ho pensato molto e a lungo”.
La straordinaria scoperta, ancora da perfezionare, ha avuto il merito di ribaltare il dibattito politico e culturale intorno alla ricerca scientifica, al punto che il Washington Post ha individuato nel lavoro dei due scienziati una specie di rivalsa pubblica della politica e delle scelte di George W. Bush. Il presidente americano, infatti, aveva vietato il finanziamento federale alla ricerca sugli embrioni, e poi posto il veto alla legge libertaria approvata di recente dal Congresso democratico, convinto che sarebbe stata la stessa comunità scientifica a trovare una via d’uscita al dilemma etico.
I collaboratori di Bush hanno spiegato che la Casa Bianca si auspicava esattamente una soluzione eticamente compatibile come quella trovata dai due scienziati e hanno ricordato che uno dei due studi ha ricevuto finanziamenti federali dall’Istituto Nazionale della Salute. “La scienza ha prevalso sulla politica – ha detto Karl Zinsmeister, capo dei consiglieri di politica interna di Bush, ribaltando una delle accuse che il fronte pro ricerca rivolge da sempre ai difensori dell’embrione – Se si fissano parametri ragionevoli e si offrono molti incoraggiamenti e tanti fondi pubblici la scienza trova sempre il modo di risolvere il problema e noi non dobbiamo combattere una guerra culturale”.
Il vicepresidente della task force sulle staminali al National Institutes of Health, James Battey, ha detto di “non vedere nessuna ragione al mondo per cui il lavoro dei due ricercatori non debba ricevere finanziamenti federali”, mentre Richard Doerflinger della Conferenza episcopale americana, ha confermato che “gli scienziati cattolici non pongono questioni morali alla nuova tecnica”.
I politici più liberal, a cominciare dal senatore Ted Kennedy, hanno riconosciuto la straordinaria portata del lavoro dei due scienziati, ma non sembrano così decisi a rinunciare alla battaglia, ormai un po’ di retroguardia, sul finanziamento federale alla ricerca sugli embrioni. Eppure, racconta il Washington Post, anche i più scettici dell’approccio bushiano riconoscono che la creazione di cellule “staminali ips” rende molto più complicata la campagna a favore della ricerca embrionale, anche se gli scienziati dicono che è ancora troppo presto per abbandonarla. Nel breve questo vuol dire che il Senato di Washington avrà molta più difficoltà a trovare la maggioranza qualificata di 67 senatori per superare il veto di Bush sulla proposta di reintrodurre i finanziamenti a favore della ricerca sugli embrioni.
L’aspetto più interessante, come ha segnalato ieri in prima pagina il Washington Post, è che la scoperta di un modo non controverso per creare cellule staminali equivalenti a quelle embrionali ha generato scosse economiche e geopolitiche in California, nello stato di New York e negli altri sei stati americani che in questi anni hanno deciso di investire miliardi di dollari in centri di ricerca che sperimentano sulle staminali embrionali. Questi stati avevano individuato nel vuoto creato nel 2001 dal divieto di finanziamenti federali deciso da Bush uno spazio straordinario per attirare i migliori scienziati, costruire le infrastrutture più avanzate tecnologicamente e offrire quindi nuove opportunità di lavoro e di business alle proprie comunità. La California, da sola, s’è impegnata a investire nella ricerca sugli embrioni tre miliardi di dollari in dieci anni.
Ora, però, c’è la possibilità concreta che le “staminali ips” possano attirare i fondi federali e rendere superati gli investimenti già fatti sulla ricerca embrionale. C’è chi dice che i due filoni resteranno paralleli, ma c’è anche chi crede che i 560 milioni l’anno che il National Institute of Health garantisce agli studi sulle staminali non embrionali potrebbero diventare molti di più e, addirittura, democratizzare il campo della ricerca scientifica biomedica. “Mi immagino già -– ha detto al Post Jonathan Moreno, professore di bioetica all’Università della Pennsylvania – che in posti come il Texas e la Virginia ci saranno politici che diranno: ‘Be’, ora possiamo farlo anche noi’”.
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