(Panorama) La sfilata di Vivienne Westwood che si è appena conclusa a Parigi si chiamava 56, ovvero i giorni di carcerazione preventiva che il governo britannico, in un controverso disegno di legge, ha proposto per rafforzare le misure anti-terrorismo. Sugli abiti della stilista rieccheggiavano così slogan di protesta per una moda che unisce ideologie, politica e creatività. Madame Viv non pecca certo d’incoerenza. La sua moda è stata fatta, sin dall’inizio della sua carriera, di dure provocazioni. E infatti sapete cosa si pensa in Inghilterra di una redhead, di una testa rossa dalla massa di capelli arruffati pel di carota?
Che sia ingovernabile. Bene, Vivienne Westwood, una delle più rivoluzionaria designer di moda, ne è una della massime rappresentanti, e la sua folata di capelli fiammeggianti, da celta caparbia e bizzarra, ha mandato in cenere tutte le convenzioni, buttato gambe all’aria qualsiasi regola del bon ton e della rigida, paludata eleganza. Nel rogo non ci è finita lei come strega, come accadeva spesso nel medioevo alle teste rosse, ma tutto ciò che era conformismo nel vestirsi. Ora continua a Milano il successo della mostra dedicata alla genialità e sregolatezza di Vivienne Westwood a Palazzo Reale: la rassegna rimarrà aperta fino al 20 gennaio, poi questa retrospettiva in omaggio alla sua carriera, ideata e curata dal Victoria & Albert Museum di Londra, migrerà ad altre sedi dopo aver già toccato Canberra, Tokyo, Bangkok e San Francisco.
Si entra a Palazzo Reale a Milano e nelle sale neoclassiche di fronte agli arazzi Settecenteschi “sfilano” in un buio fasciante abiti, scarpe, quelle ad esempio con le famosissime zeppe mock-croc, proprio quei trampoli con cui falcava la passerella Naomi Campbell quando all’improvviso cadde da quei sandali twin-tower; e poi video, sprazzi di sfilate e su tutto il volto della Westwood sbeffeggiante come solo lei sa essere a 66 anni, dopo oltre 35 anni di carriera e il titolo di Dama di sua Maestà, insignitole dalla stessa regina Elisabetta di Inghilterra. Eppure tutto inizia con un piccolo negozio, Let it rock , nella Londra degli anni 70, dove si danno appuntamento i futuri Sex Pistols: il Punk sta per nascere. Lo sviluppo di nuove idee musicali, che fa dell’insofferenza per qualsiasi regola il proprio motore fra scandali e spille da balia con cui ci si bucavano guance e orecchie, trova nei vestiti della Westwood e di Malcolm Mclaren, il suo nuovo compagno, il proprio manifesto: magliette di cotone nero che Vivienne modifica facendo strappi, nodi, buchi, arrotolando e scucendo le maniche. Lavorando sul tavolo di cucina, decorando con cerniere che scoprono i capezzoli, borchie, catene, motivi stampati a pressione usando come matrice una mezza patata, uno stile molotov.
“La maglietta Venus aveva il giro manica orlato con pezzi di pneumatici di motocicletta mentre una delle serie più sinistre (e più ricercate dai collezionisti) portava diciture applicate ricavate da ossi di pollo bolliti, finemente lavorati al trapano e cuciti sulle maglie.
Per prima cosa scrivemmo ‘rock’, poi ‘fuck’” afferma madame Viv “La moda non è altro che vita e io credo che l’apparenza sia tutto” continua la ragazzaccia, che così rovescia il proverbio ed è l’abito a fare il monaco. Attraverso queste sale dove scorrono le sue collezioni da quella iniziale dei Pirates, Nostalgia of mud, Witches alla riscoperta dei tessuti, i famosi tartan, alla sala dedicata proprio all’Art of fashion, dove splendidi abiti color di perla ambrata sono incastonati in sfondi grigi, ai trionfi barocchi di abiti da sera, tutto racconta come la più anticonvenzionale della fashion stilyst accetti ora il rigor mortis delle bacheche di Palazzo reale. Perché, afferma, ora l’atto più anticonvenzionale è riscoprire e studiare il buon gusto.
Nessun commento:
Posta un commento