Coalizione generazionale? La proposta sembra interessante. Un movimento trasversale agli schieramenti che cerchi in qualche modo una sintesi sulle priorità della politica di oggi e di domani. Ma prima di tutto, un movimento under 35, contro la gerontocrazia imperante nel nostro Paese. Nessun conflitto generazionale: non si cerca di eliminare o sostituire l’intera classe politica, ma di proporre una nuova via d’accesso privilegiata per una generazione di fatto dimenticata.
Proposta interessante, dicevo. A parte lo stile, molto più pacato e attento, sembra in qualche modo imparentata con lo spirito del V-Day, non quello dell’antipolitica (invenzione di qualche osservatore fazioso), ma di una politica che torni ad essere partecipazione.
Interessanti anche le idee per una svolta generazionale. Tuttavia, malgrado la pretesa trasversalità del movimento, in alcuni aspetti emerge un colore politico abbastanza riconoscibile, ed incompatibile, ad esempio, con le istanze dell'estrema sinistra. Idee tutto sommato ragionevoli ed in buona parte condivisibili. A volte un po’ fumose, alla “Partito Democratico”, ma è apprezzabile lo sforzo di non dare eccessive connotazioni di parte al documento.
Bene, ci voleva qualcosa del genere. Purtroppo l’entusiasmo è smorzato da alcune perplessità. Le più significative, e le uniche che prenderò qui in esame, sono relative all’istruzione. Si dice:
* “Per quanto riguarda la formazione universitaria, è necessario un sistema più selettivo e maggiormente collegato al mondo economico privato: a tal fine, ha certamente senso orientare i giovani verso facoltà scientifiche, per favorire la formazione di competenze realmente necessarie in un sistema produttivo moderno, ma senza penalizzare quelle artistiche e umanistiche...”
* “Siamo inoltre a favore della eliminazione del valore legale del titolo di studio, come avvenuto in diversi Paesi europei, affinché la competizione debba giocarsi sul terreno delle competenze, della bravura, della qualità dei servizi offerti e non delle formalità dei ruoli”
Se sul primo punto ci si dovrebbe trovare d’accordo (si dicono delle mezze ovvietà), ritengo che l’impianto invece sia totalmente sbagliato. Si persevera sulla perniciosa via tracciata in questi anni, di un’università sempre meno formativa e sempre più professionalizzante, dove i titoli di studio (decisamente più semplici da conseguire) finiscono per essere soltanto pezzi di carta abilitanti. L’università di massa è divenuta un allevamento intensivo dove è stato dimenticato tutto ciò che va oltre il mero nozionismo, le abilità puramente tecniche delle singole discipline. Un discorso complesso che può essere approfondito, ma che parte da un presupposto ben diverso da quello che qui si dà per scontato: l’università dovrebbe tornare ad essere vivaio della Cultura, non una semplice fabbrica di esperti al servizio del Sistema!
Sul secondo punto non sono invece assolutamente d’accordo. E’ ragionevole pensare a percorsi alternativi che non impediscano, ai pochissimi veramente meritevoli, di accedere a funzioni dove il titolo di studio è un vincolo. Tuttavia il titolo di studio, frutto di un percorso autenticamente formativo, come si diceva poc’anzi, è e dovrebbe continuare ad essere vincolo e garanzia di competenza. Il problema che oggi certe lauree non valgano nulla è legato alla facilità con cui si “regalano” titoli accademici, con cui si inventano corsi di studi privi di qualsiasi senso. E’ il problema di un’università “fai da te” a cui si deve assolutamente rimediare. Poco importa se poi saremo il Paese con meno laureati d’Europa, sempre meglio che avere laureati e titoli accademici che non valgono nulla.
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