banda http://blografando.splinder.com

lunedì 29 ottobre 2007

Tendenze: La cravatta? Più stretta «È la sconfitta del machismo».

La larghezza ideale: 9 centimetri.
Il «Wall Street Journal»: la filosofia degli stilisti è arrivata nelle strade.
Dalle forme esagerate del ’70 al ritorno «slim».
Nuove linee. «Abbandonare la corazza, una liberazione».

(Gian Luigi Paracchini - Il Corriere della Sera) Certo è un po’ difficile sostenere che l’eleganza maschile poggi su quel centimetro (di stoffa) in più o in meno. Però qualcosa deve pur valere se l’autorevole e solitamente severo The Wall Street Journal dedica una pagina al fatto che la cravatta si stia restringendo in modo palese. Almeno al collo dell’uomo chic, in linea con i tempi e soprattutto attento ai messaggi subliminali di certe scelte anche nel campo dell’abbigliamento. Lo si vede dal nodo che ha perso l’aggressiva monumentalità di qualche anno fa e anche dalla parte inferiore della cravatta, arrivata ai tempi ormai superati di massima espansione, a spalmarsi sullo stomaco: cravatta sì ma anche un po’ tovagliolo e pancera. Il giornale americano azzarda pure la larghezza canonica di questo accessorio- principe per molte generazioni: nove centimetri alla base, dunque in media un centimetro in meno delle cravatte che ci hanno preso per il collo nell’ultimo decennio. Tanto rumore per un centimetro? Certo, perché il risultato finale nel complesso e variegato intreccio della seta (non parliamo poi della lana) è ben diverso.

Quel centimetro riesce incredibilmente amoltiplicarsi e l’effetto è un altro. Ma gli uomini italiani stanno aderendo alla nuova filosofia? Qualcosa si muove, eccome. Basta dare un’occhiata alle trasmissioni sportive del dopo partita: anche i calciatori, entusiasti portatori delle più clamorose macro- cravatte mai viste in tv, se le sono ridotte. Così come i politici che hanno in tema un antesignano nell’ex ministro Giulio Tremonti: da sempre cravatte old style. «Il segnale dei nostri clienti—conferma Salvatore Monetti, figlio di Eddy, negozi a Napoli, Milano e Roma — va decisamente in questa direzione. Noi non abbiamo mai superato i nove centimetri e mezzo quando la moda diceva undici, ci stiamo assestando attorno ai nove, ora che su certe passerelle si vedono cravatte di 5-6 centimetri». Già, perché anche il trend modaiolo, notoriamente capriccioso, ha portato acqua allo stesso mulino.

L’attore Justin Timberlake e lo scapestrato cantante Pete Doherty (ex di Kate Moss) ultimamente si sono messi striscette di stoffa oscillanti dai 2,5 ai 5 centimetri, poco più dei fili texani portati dai cow boy nei giorni di festa e riciclati su sfondo verde da molti esponenti della Lega. Ma non c’è stata una vera rivoluzione. «La cravatta — spiega Stefano Bigi, terza generazione di cravattai che distribuisce nei negozi di tutto il mondo — si è progressivamente asciugata come fosse il risultato di una dieta. C’è un cambio di centimetri mac’è soprattutto una diversità di forme che tende a snellire». Come tutto nel costume, è soltanto una tappa. Nel decennio tra il ’20 e ’30 le cravatte arrivano ai 10 centimetri. In quello successivo hanno superano gli 11. Tra i ’50 e i ’60, basta dare un’occhiata al collo dell’attore James Stewart o di John Kennedy si sintetizzano mediamente nei 5 centimetri, mentre nel ’70 si espandono con involontario effetto clown addirittura attorno ai 15.

È un po’ come la borsa, le cifre prima o poi ritornano, anche se qualche tempo fa a non mettere la cravatta era soltanto il direttore (in dolcevita bianco) del Mario Negri, Silvio Garattini, mentre oggi non mancano ministri come Alfonso Pecorario Scanio o amministratori delegati (Fiat) come Sergio Marchionne. Se la cravatta è stata messa a dieta è però perché tutto l’abbigliamento maschile ha perso centimetri. Il cappottone avvolgente oltre il ginocchio ha lasciato spazio a cappottini che non si infilano nelle ruote dello scooter. E i vestiti, i pullover, le polo? Tutto a scalare, destrutturato, impietosamente slim, snello, sottile. Che ci sia sotto qualcosa? «Molto probabile—concorda lo psicologo Paolo Crepet—che dietro il ridimensionamento nei centimetri di tessuto ci sia una correlazione fallica, dunque sessuale. La giacca con i revers molto ampi, le scarpe minacciosamente a punta, le cravattone con quei nodi ingombranti sono una pubblicità esplicita e gladiatoria a qualcosa che non appare.

Le cravatte più strette rivelano un un atteggiamento più morbido, meno machista. Di questo nessun uomo dovrebbe dolersi: abbandonare la corazza non è una liberazione? ». Il dibattito è aperto. Ma se fiorissero già nostalgie preventive, ci si può consolare. «Dagli anni ’60—ricorda Roberto Linke, titolare del genovese Finollo, dove si riforniva Gianni Agnelli—le nostre cravatte misurano 10 centimetri perché quella per noi è la misura più equilibrata e corretta. Le abbiamo soltanto allungate un po’, perché oggi gli italiani sono più alti». Nel caso i bostoniani, prima o poi, annoiassero.

Sphere: Related Content

Nessun commento: