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lunedì 29 ottobre 2007

Essere gay non è una scelta, fare buona informazione sociale sì.

(Francesco Pira - Affari Italiani) Adesso che ce lo ha specificato anche un poster, parte della campagna di comunicazione contro l'omofobia della Regione Toscana, dove un bimbo con un braccialetto al posto del nome ha il marchio “Homosex”, con accanto la scritta didascalica “l'orientamento sessuale non è una scelta” tutti sembriamo avere capito come funziona. Nel senso che di questa campagna hanno parlato tutti e quindi chi l'ha pensata trasgressiva al punto giusto è riuscito in pieno nel suo intento. Le polemiche seguite ed il commento secco del protocattolico capogruppo dell'Udc Luca Volontè (“raccapricciante”) o quella di Aurelio Mancuso dell'Arcigay (“esempio da ripetere”) mi hanno riportato alla mente un passaggio della filosofa Hannah Arendt che di contro alla possibile definizione e riconoscibilità del futuro affermava: “il mondo si rinnova quotidianamente per nascita, ed è continuamente trascinato nella vastità del nuovo dalla spontaneità dei nuovi venuti. Solo depredando i nuovi nati della loro spontaneità, del loro diritto d’iniziare qualcosa di nuovo il corso del mondo può essere deciso e previsto in senso deterministico.”

Da docente di comunicazione sociale l'effetto che può avere una campagna di questo tipo su noi cittadini m'interessa come ricercatore e come uomo portatore di valori. Nel senso che credo molto che tutti noi dobbiamo confrontarci quotidianamente con quelli che vengono definiti in campo sociologico valori socialmente condivisi. Una campagna contro l'omofobia deve raggiungere più che l'obiettivo di sconvolgere la mente dei Volontè, quello di capire come la società si sta evolvendo e come trovare le chiavi di lettura delle nuove istanze sociali. E viene da chiedersi: la campagna della Regione Toscana secondo voi ha raggiunto questo obiettivo? Così come quella “gridata” da Oliviero Toscani e dalla sua nuova creatura “La Sterpaia” sull'anoressia ha colpito nel segno. Ho visto lo spot a Firenze al Festival Europeo dello spot sociale organizzato da Pierfederico Leone e così come primo impatto ho avuto l'impressione di una spettacolarizzazione del dolore.

Un portavoce di Toscani ci ha spiegato in quella mattinata di lavori, a cui ho avuto l'onore di partecipare che quella ragazza vestita ci sarebbe passata accanto e non ci saremmo accorti della sua esistenza. E' un parere. Ma così ce ne siamo accorti? Cambieranno i nostri comportamenti rispetto al problema? Zygmut Bauman nel suo “Modus vivendi” affrontando il tema delle comunità urbane degli ambienti fisici e non solo, in cui viviamo afferma che “ le città sono diventate le discariche di problemi concepiti a partoriti a livello globale...Come faceva notare Castells il segno sempre più evidente del nostro tempo è l’intensa produzione di senso e di identità: il mio quartiere, la mia comunità, la mia città, la mia scuola, il mio albero, il mio fiume, la mia spiaggia, la mia chiesa, la mia pace, il mio ambiente... Improvvisamente prove di difese contro il turbine globale, le persone ripartono da se stesse”.

Ecco il tema è: per fare buona comunicazione sociale e per generare valori condivisi basta una campagna sociale dirompente e basta o occorre creare una strategia complessiva che lascia il segno in maniera indelebile nei comportamenti quotidiani? Per questo vorrei concludere citando G. K. Chesterton: “se c'è qualcosa di peggio dell'odierno indebolirsi dei grandi principi morali, è l'odierno irrigidirsi dei piccoli principi morali”. Non irrigidiamoci, costruiamo. Nell'interesse di tutti per scoprire tutti i giorni che l'orientamento sessuale non è una scelta e che anoressica è anche la nostra vicina di casa che vediamo tutti i giorni e trattiamo con quel velo di pietà che ci mette la coscienza a posto. Non basta a noi semplici cittadini. Intacca la nostra etica se poi svolgiamo un ruolo importante in processi di comunicazione sociale. (nella foto Francesco Pira)

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