Chiesti 75 mila euro.
Coinvolto un esponente non di primo piano.
A dicembre il processo.
(Guido Santevecchi - Il Corriere della Sera) La mattina del 2 agosto: squilla il telefono nell'ufficio di un membro della famiglia reale. Un uomo dice di avere del materiale che «forse qualcuno potrebbe essere interessato a vedere». È l'inizio di una storia che ieri è piombata sulla prima pagina del Sunday Times sotto il titolo «Un reale al centro di un ricatto a base di sesso e droga». Quella mattina di estate la voce al telefono aveva cominciato dicendo di avere la prova che una busta con cocaina era stata passata dal membro della Royal Family a un suo aiutante, che l'aveva sniffata e poi avrebbe ricambiato il favore con un atto sessuale. Tutto filmato, sosteneva «la voce», che poi offriva di consegnare il nastro e dimenticarsi della vicenda in cambio di 50 mila sterline (75 mila euro). Il nobile però ha deciso di non cedere e si è rivolto a Scotland Yard. La polizia ha messo un suo agente a gestire la trattativa e lo ha inviato all'appuntamento con i ricattatori. Fissato per l'11 settembre all'hotel Hilton di Park Lane a Londra. Credendo di trovarsi di fronte a un consigliere della Royal Family due persone hanno proposto di mostrare il nastro sul lettore dvd della stanza. Non sapevano che dietro la parete gli esperti della squadra anti-sequestri e ricatti di Scotland Yard avevano piazzato una loro telecamera per riprendere la scena.
I due sono stati arrestati e due giorni dopo sono comparsi di fronte a un tribunale di Westminster. Il giudice li ha rimandati in carcere in attesa dell'inizio del processo fissato per il 20 dicembre. Ma che cosa c'era nel videotape? Davvero sesso e droga? E soprattutto chi era il personaggio al centro del ricatto? Il giudice ha vietato di identificare la vittima o i testimoni e ha deciso di procedere «in camera», termine latino che significa a porte chiuse. Ieri Scotland Yard ha detto solo che «un uomo di 30 anni e uno di 40 sono comparsi di fronte alla corte di Westminster il 13 settembre per rispondere dell'accusa di ricatto». Il portavoce ha ricordato che è stato posto «un divieto stretto di pubblicare qualsiasi informazione che possa portare all'identificazione dei protagonisti del caso». Una procedura, hanno spiegato al Corriere esperti legali britannici, che non è connessa al rango dei personaggi coinvolti, ma è comune in casi di ricatto, «per difendere l'onorabilità della vittima di fronte ad affermazioni scandalose non sostanziate». Tra l'altro non ci sarebbe nessuna immagine di rapporti sessuali.
Questo comunque non è un ricatto qualsiasi. Al vertice della famiglia reale c'è la regina, capo di Stato e garante dell'unità nazionale. Da Buckingham Palace dicono solo che si tratta di una vicenda di competenza della polizia. Ma nelle redazioni dei giornali ieri il nome del ricattato circolava. Non si tratta di una « senior figure », ma di un personaggio «di basso profilo che non espleta alcun royal duty ». Per essere chiari, non c'entrano possibili eredi al trono. «La Royal Family propriamente detta conta una quarantina di nomi — spiega Dickie Arbiter, ex portavoce di Palazzo —. Ci sono volute sei settimane perché la storia venisse fuori dall'aula di tribunale. Perciò viene da chiedersi innanzitutto quanto sia seria. E poi è interessante che sia uscita sul Sunday Times, non un tabloid popolare, come ci si aspetterebbe di fronte a uno scoop del genere. Bisognerà aspettare il corso della giustizia per determinare se c'era qualcosa di vero o si trattava solo di una montatura per spillare denaro».
E quanto al nome del ricattato, secondo Mr Arbiter «potremmo anche non poterlo dire mai». In effetti un ricatto a Palazzo Reale non è una faccenda comune. Per trovare un precedente noto bisogna risalire al 1891, quando il Duca di Clarence, nipote della regina Vittoria e figlio del futuro re Edoardo VII, discusse la possibilità di pagare due prostitute che aveva frequentato in cambio di un paio di lettere autografe. Rarissima anche la partecipazione di un un membro della famiglia a un processo. Quando succede fa storia. Edoardo VII, quando era ancora principe di Gal-les, testimoniò in una vicenda di gioco d'azzardo, con qualche imbarazzo visto che era stato presente al reato, una partita di baccarat. Nel 2002 ci fu il caso chiamato Regina versus Burrell: il maggiordomo di Diana incriminato per il furto di lettere ed effetti personali della principessa morta. Tutto si bloccò quando Sua Maestà «ricordò » che Burrell le aveva detto di «avere in custodia » alcune cose di Diana. Ci furono
polemiche perché l'indagine e il procedimento erano costati milioni e qualcuno osservò che Elisabetta si sarebbe potuta far tornare la memoria un po' prima. E poi, naturalmente, c'è la faccenda più remota ma più grave: 1649, quando Carlo I fu processato per aver tramato contro le libertà costituzionali e aver mosso guerra al Parlamento. Finì decapitato fuori dalla Banqueting House a Whitehall.
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