banda http://blografando.splinder.com

mercoledì 17 ottobre 2007

Macchiaioli. Il sentimento del vero.

(Giovanni Lauricella - Agenzia Radicale) E’ in corso a Roma al Chiostro del Bramante una bella mostra curata da Francesca Dini per la Fondazione Bricherasio di Torino e per il Dart Chiostro del Bramante di Roma; arricchita per l’edizione romana di splendidi capolavori quali “La scolarina” di Giovanni Fattori, “Il rio a Riomaggiore” di Telemaco Signorini (esposto per la prima volta), “Carro e bovi nella Maremma toscana” di Giuseppe Abbati, propone un itinerario di oltre cento opere, articolato in otto sezioni, volto a studiare l’originale e rigoroso rapporto dei Macchiaioli con “i principi del vero”.

Un’ ottima esposizione di quadri, senza dubbio, ma, come tante altre manifestazioni altrettanto decorose che hanno affollato il calendario degli eventi di questi ultimi anni, mi sollecita alcune riflessioni. Encomiabile e meritevole cosa è rendere fruibili per il pubblico opere artistiche, forse un po’ meno per gli ingressi a prezzi non competitivi. Il fatto che si ha la possibilità di vedere opere di altri paesi o di collezioni private eccezionalmente concesse ad una manifestazione aperta a tutti, rende queste occasioni importanti tanto da meritare di essere incentivate. Quello che lascia perplesso è la grande kermesse che sta dietro queste manifestazioni, iniziando dai vernissage, diventati estensioni salottiere di gente impropria che non ha nessuna sensibilità artistica. Questo dà fastidio agli studiosi e a tutti quelli che dell'arte fanno un motivo edificante della propria esistenza. Cosa grave, ma nemmeno tanto se si pensa ad una cosa veramente preoccupante che puntualmente avviene: queste mostre non aggiungono niente dal punto di vista storico e culturale. Mi spiego, anche se il concetto non è semplice, specie se detto in poche parole. In passato le mostra erano decisive per consegnare alla storia un artista; non a caso erano quasi tutte antologiche. Parimenti quelle che trattavano correnti o epoche venivano fatte solo quando nuove scoperte ne cambiavano la concezione, dopo di che diventava vecchio tutto quello che era stato studiato prima e nuovo tutto quello che veniva dopo la mostra. Questo dava all’attività espositiva un ruolo scientifico di livello determinante, la mostra non era solo la conclusione cerimoniosa di una scoperta ma l'inizio di un nuovo corso culturale.

Erano così impegnative che si preferiva non farle per non rischiare errori che puntualmente avvenivano laddove chi le proponeva non era all'altezza; una situazione tipicamente italiana che si tirava dietro polemiche del tipo “questo è un paese dove non si può fare niente...”. Invece adesso le mostre ci vengono proposte a ruota libera, con una selva di specialisti che non si poteva immaginare in passato. Se ci avete fatto caso non è più una novità il curatore o i curatori ed è puntualmente pronto il catalogo, fresco fresco, appena sfornato per il vernissage e che verrà dimenticato appena poco dopo la conclusione della mostra. Sono fatte in maniera tale che se ne possono fare tante altre, così pure abbiamo tanti cataloghi quanti ne vogliamo, tanto non tolgono e non aggiungono niente; dopo qualche mese i migliori si trovano nelle bancarelle, per non parlare di quelli sfortunati che vanno direttamente al macero. Un esempio lo abbiamo proprio adesso alla mostra in corso al Chiostro del Bramante sui Macchiaioli, movimento fondamentale per lo sviluppo dell'arte. La “macchia”, prima di caricarsi di significati non solo artistici, derivava dall’antico modo di colorire “alla prima” e “dal vero” come faceva ad esempio Giorgione o Tiziano. Coniato in occasione di una collettiva del 1861 come termine riduttivo per indicarne le prestazioni pittoriche, esordì con i primi quadri nel 1856 ben prima del Salone del 1874 tenutosi presso lo studio del fotografo Nadar a Parigi, che ufficializzò la nascita dell'impressionismo.

Dico questo perché, anche se sono due movimenti differenti, la corrente meno realista dei Macchiaioli è la testimonianza che in Italia, prima che in Francia, gli artisti iniziarono a innovare le tradizioni pittoriche. Si potrebbe accostare a questa tendenza il movimento letterario della Scapigliatura. Com’è noto questi antenati dei contestatori dal 1860, circa, fino al 1880 svilupparono un'avversione per la tradizione culturale dominante e vi si opposero con forza – anche con uno stile di vita anticonformista. Si parla per la prima volta di Scapigliatura nel n. 20 ( 13 aprile 1861 ) di “Cronaca grigia”, un giornaletto pettegolo e inconcludente. Con la speranza che non mi attribuirete un revanscismo antifrancese, intendo sottolineare l'importante fermento culturale che ci ha portato all'unificazione del 1870, cosa fondamentale per lo sviluppo di un paese e sanatoria di tanti ostacoli che, guarda caso, puntualmente ci si ripresentano. Questi movimenti significarono alta testimonianza culturale e grande spinta alla modernizzazione della nostra penisola, argomento complesso e difficile da capire che oggi pare non appassioni molto. L' importante movimento dei Macchiaioli passò nella storia letteraria quasi in sordina perché di quel tempo si sono voluti osannare altri movimenti innovatori operati in un secondo tempo, da parte dei francesi con l’impressionismo e dei tedeschi con l’espressionismo. Movimenti, questi ultimi, nati in loco apparentemente senza antecedenti storici, per cui i Macchiaioli apparsi prima in Italia non rappresentarono assolutamente nulla, almeno stando alla storiografia ufficiale. Basta cercare in tutti i libri di storia dell'arte italiani per trovare i Macchiaioli appena accennati, marginalizzati come certi stili di arredamento.

Peggio ancora se si consultano i libri di storia dell'arte di altri paesi ( quelli del "Gran Tour" ad esempio): vi accorgerete con stupore che i Macchiaioli proprio non esistono. In barba agli europeisti e alle loro stesse prediche, i Macchiaioli restano racchiusi in un termine tutto italiano, come una parola dialettale, che non appartiene alla cultura europea, e tanto meno a quella mondiale. Abbiamo perso la memoria di un intero spaccato storico, che è quello della nascente Italia risorgimentale e liberale; a furia di negarla ci siamo ritrovati a non avere nessuna coscienza critica culturale nazionale e a mancare di personalità nei confronti dei movimenti sorti all'estero, verso i quali mostriamo una cieca riverenza e una sottomissione incondizionata. Lo dico perché personaggi come Achille Bonito Oliva si lamentano che gli artisti contemporanei italiani non sono sufficientemente considerati all'estero( Corriere della Sera 13 ott. insieme a Francesco Bonami, Sgarbi e Daverio) , ma al contempo pretendono che dall'estero vengano i riconoscimenti alla nostra cultura, come dei doni. E’ una forma di commiserazione simile a quella che abbiamo nei confronti del Terzo Mondo, un atteggiamento "culturale" che ci espone a clamorosi contraccolpi; pensate al fatto accaduto in questi giorni in Germania dove si concedono le attenuanti ad uno stupratore perchè è originario della "sottoacculturata" Sardegna. La verità è che proprio i nostri "luminari" ci presentano all'estero evirati culturalmente, perché la Chiesa di Roma, il Risorgimento, il fascismo, peggio ancora l'Impero Romano (e non parliamo del Rinascimento che è la nascita della borghesia) sono i mali dai quali ci dobbiamo vergognare a differenza del Medioevo che piace a tutti.

Immaginiamoci i francesi che, per prendere le distanze da Luigi XV, buttassero al macero il Louvre perché sinonimo di regime autoritario e poi si gettassero in un piagnisteo, magari capeggiati da un A.B.O. locale (un Olivier?!) perché non si sentono considerati culturalmente. Il problema è che non facendo operazioni culturali e storiche profonde resteremo sempre fermi alla sterile lamentela. Mi chiedo se una mostra presentata con tanta ènfasi su riviste giornali e televisione, possa essere miserabile verso il contenuto stesso di ciò che si propone di mostrare. Il catalogo, con i saggi di Luciano Alberti, Silvio Balloni, Zeffiro Ciuffoletti, Nicoletta Colombo e Daniela Magnetti e le schede di Silvestra Bietoletti e Rossella Campana, è edito da Silvana Editoriale. Forse di ben altra levatura è l'apertura della seicentesca Reggia di Venaria Reale, con la ricostruzione della vita di corte del regista inglese Peter Greenaway; progettata nel 1658 da Amedeo di Castellamonte per il duca Carlo Emanuele II, dedicata a Diana, dea della caccia, con la Galleria di Diana, la Citroniera, le Scuderie e la Cappella di Sant'Uberto, celebri creazioni di Filippo Juvarra (171628???), forma la cosiddetta «Versailles» torinese. Un complesso di straordinarie proporzioni (480.000 mq), che vive in simbiosi con il borgo e con il parco circostante. La Residenza è un grande cantiere di restauro realizzato dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali e dalla Regione Piemonte, anche grazie ai fondi dell'Unione Europea. Veramente opportuno il recupero strutturale del complesso, che ospiterà un Museo sulla vita e la civiltà di corte, e inoltre accoglierà un centro nazionale di restauro e un polo espositivo sulla storia e la cultura dell'Europa e dei Mediterraneo


*La prima manifestazione sconvolse la critica e venne compiuta in risposta e contro l'avversione del Salòn e gli studi accademici francesi, dando così un esordio poderoso che dette ben presto un successo mondiale. Oculata fu anche la partecipazione, che fece l'apparizione di artisti dotati di ottima personalità artistica: Claude Monet, Edgar Degas, Alfred Sisley, Pierre-Auguste Renoir, Paul Cézanne, Camille Pissarro, Felix Bracquemond, Jean-Baptiste Guillaumin e l'unica donna Berthe Morisot.Fu il critico d'arte Louis Leroy, che definì la mostra Exposition Impressioniste, prendendo spunto dal titolo di un quadro di Monet, Impression, soleil levant. Per indicare, in senso negativo, l'apparente incompletezza delle opere. Macchiaioli, Il sentimento del vero.


(nella foto: “Carro e bovi nella Maremma toscana” di Giuseppe Abbati).
Chiostro del Bramante, fino al 3 febbraio 2008 Roma.

Sphere: Related Content

Nessun commento: