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mercoledì 17 ottobre 2007

Il dilemma "islam e democrazia" e la laicità delle istituzioni.

(Farian Sabahi - La Stampa) L’Islam è compatibile con la democrazia? Questo è il dilemma dei nostri tempi, a cui non possiamo dare risposta negativa altrimenti facciamo il gioco degli integralisti. Gli ostacoli sono nei testi sacri che, presi letteralmente, non garantiscono uguali diritti alle donne e alle minoranze.
La compatibilità tra Islam e democrazia, e di conseguenza tra Islam e modernità, è un tema su cui ragioniamo in tanti. La soluzione è la storicizzazione delle Scritture: se anche il Corano obbliga le musulmane a coprire le parti belle vi sono religiosi come l’iraniano Youssef Eshkevari che sostiene come oggi siano le leggi a proteggere le donne meglio del velo anche, se molte decidono di metterlo come atto di fede.
Le iraniane hanno un tasso di alfabetizzazione che sfiora l’80 percento, rappresentano il 63 percento delle matricole universitarie, hanno un ruolo determinante nell’economia e nella società civile. Ma nella Repubblica islamica la testimonianza di una donna vale la metà rispetto a quella di un uomo, in caso di morte violenta la famiglia riceve un risarcimento pari al 50 percento, le sorelle ereditano la metà dei maschi, ottenere il divorzio è tutt’altro che automatico e la custodia per i figli è una battaglia impegnativa. Per questo le iraniane lottano per l’equiparazione legale.
Le questioni aperte sono tante e tra le più importante c’è la pena di morte inflitta anche ai minorenni, in violazione delle convenzioni internazionali, agli intellettuali che si macchiano di reati d’opinione e agli omosessuali. Ma l’Iran è un paese dalle molte contraddizioni. Se da una parte essere colti nell’atto di amare una persona dello stesso sesso può costare la condanna capitale, dall’altra se ci si dichiara omosessuali si ottiene l’esenzione dal servizio militare (a patto di avere la firma dei genitori, un fatto che scoraggia molti). E i transessuali possono sottoporsi legalmente alle operazioni chirurgiche per cambiare sesso in una clinica di Teheran, per poi passare in anagrafe, registrarsi con altro nome e convolare a nozze.
Dopo l’11 settembre la compatibilità tra Islam e democrazia coinvolge anche gli italiani, sempre più spaventati e pieni di pregiudizi derivanti dall’ignoranza.
Ogni tanto sembra di parlare a un muro: bisogna spiegare che musulmani, cristiani ed ebrei vivono da secoli in pace in tanti paesi del Medio Oriente e che a non garantire libertà di culto sono pochi paesi del Golfo. Quando racconto, per esempio, di cristiani ed ebrei che vanno liberamente nelle loro chiese e sinagoghe in Iran, moltissimi non mi credono e devo ricorrere a tutta la mia pazienza per non gettare la spugna.
Di fronte alle difficile integrazione dei nuovi arrivati, qual è l’atteggiamento più saggio? È opportuno costruire moschee? Oppure è stato un errore, per la Fondazione del Monte dei Paschi di Siena, donare 300mila euro a fondo perduto alla comunità islamica di Colle Val d’Elsa per erigere un luogo di culto? Sono forse più saggi gli svizzeri, che vorrebbero indire un referendum per mettere fuori legge i minareti?
L’Italia è una penisola che si allunga verso il Mediterraneo. Non riusciremo a farne una fortezza. L’unica politica possibile è l’inclusione, nel rispetto della legalità. Gli italiani dovrebbero fare un passo verso gli stranieri ma lo sforzo maggiore deve venire dai nuovi arrivati che per capire la cultura cattolica del paese in cui hanno deciso di vivere dovrebbero mettercela tutta.
E sarebbe opportuno, per quanto possa sembrare azzardato, che i loro figli frequentassero l’ora di religione cattolica nelle scuole, per lo meno in attesa che a qualche ministro venga la buona idea di istituire l’ora di studio comparato sulle religioni come già avviene in alcune parti d’Europa, come in Svezia e nel Regno Unito. Con l’obiettivo di fare conoscere ai figli degli immigrati qualcosa di più della cultura che permea l’Italia, per dare loro gli strumenti per una migliore integrazione.
Per l’integrazione delle minoranze è poi fondamentale la difesa a oltranza della laicità delle istituzioni tanto cara, già nel Seicento, all’ebreo olandese (ed eretico) Baruch Spinoza. Perché solo la laicità dello Stato garantisce a tutti la libertà di culto. Ma permette anche di dichiararsi agnostici e persino atei, un lusso nella situazione attuale in cui tutti siamo obbligati, nostro malgrado, a prendere posizione.

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