Aurelia Passaseo ha rifiutato il patteggiamento.
(Il Messaggero Veneto) «In aprile mi è stato proposto di patteggiare la condanna a un mese e una multa. Ho rifiutato: avrebbe significato riconoscere una colpa mai commessa. E togliere le castagne dal fuoco alla procura: sono anni che ricevono le mie segnalazioni, se erano illegali perchè non l’hanno mai detto?». Paradossale destino quello di Aurelia Passaseo, presidente del Coordinamento internazionale delle associazioni a tutela dei diritti dei minori, conosciuta da media e addetti ai lavori come «cacciatrice di siti» pedopornografici: in una decina di anni di attività ne ha scovati e denunciati alle autorità oltre 5 mila, ma domani si ritroverà in un’aula di tribunale, nelle scomode vesti di imputata ai sensi dell’articolo 600 quater del Codice penale, quello che punisce con la reclusione fino a tre anni chiunque «consapevolmente si procura o dispone di materiale pornografico prodotto mediante lo sfruttamento sessuale dei minori di anni 18».
Nel marzo 2003, Passaseo si ritrovò a sorpresa tra gli oltre 300 indagati nella maxioperazione denominata «Pedoland» solo per aver «visitato» un sito contenente un listino dettagliato di video pedopornografici, con tanto di prezzi e di condizioni di acquisto. Sito puntualmente denunciato alla polizia postale e alla procura di Ivrea.
Superato lo choc iniziale, Passaseo pensò che la situazione si sarebbe chiarita presto. In realtà, la sua odissea giudiziaria era solo all’inizio. «Il mio fascicolo, stralciato dal resto dell’inchiesta – racconta – finì per competenza territoriale alla procura di Pordenone». Dove il pubblico ministero Antonella Dragotto, il 25 maggio 2005, presentò al giudice per le indagini preliminari la richiesta di archiviazione: «Passaseo – scriveva il pm – è conosciuta da anni dagli uffici di questa procura per aver presentato numerose denunce contro siti pedopornografici».
«È quindi evidente - continuava - che il possesso, da parte sua, di materiale pedopornografico, presso la sede legale del Ciatdm (che peraltro coincide con la sua abitazione, ndr) si giustifica pienamente con l’esercizio dell’attività cui si dedica da anni».
Fine dell’incubo? Macchè. Il gip prima rigettò la richiesta riservandosi di decidere, poi, il 29 maggio 2006, si pronunciò per la prosecuzione del procedimento: il materiale è stato scaricato dalla rete e salvato (sebbene inconsapevolmente), quindi il reato esiste, diceva in sintesi nella sua ordinanza, indipendentemente dall’esistenza di un “dolo specifico”. In pratica: non importa il motivo, pur nobile, per cui il materiale è stato scaricato, chi individua dei siti di natura illegale deve limitarsi a denunciarli.
Morale: rifiutata la proposta di patteggiamento il 5 aprile scorso, Aurelia Passaseo tornerà in aula domani («quando in tutto il mondo si celebra la giornata dei diritti dell’infanzia: oltre il danno la beffa...», ironizza) accompagnata dai suoi legali, Riccardo Cattarini e Maria Pia Maier.
«Preoccupata? Più che altro amareggiata», sottolinea Passaseo. «Le bande criminali che controllano il mercato della pornografia on line scorrazzano libere per la rete, chi prova a denunciarle subisce processi. La verità è che tutti sapevano quel che facevo, sono stata chiamata a fare parte dall’allora ministro Gasparri della commissione internet e minori, ho collaborato alla stesura di un Codice deontologico ad hoc».
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