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lunedì 19 novembre 2007

Pena di morte: All’Onu si vota ma in Iran...

(Giorgio De Neri - L'Opinione.it) All’alba del 15 novembre è stato impiccato sulla pubblica piazza della città iraniana di Hamedan il diciottenne Mohammed Reza Turk. Di anni ne aveva sedici al momento dell’omicidio di un suo coetaneo, il reato di cui è stato accusato. Le baby gang esistono anche in Iran, solo che lì c’è la certezza della pena: quella di morte. I parenti dell’ucciso non lo hanno perdonato. Né voluto che pagasse in soldi la sua famiglia, il prezzo del sangue. E quindi, secondo la feroce legge della shariah sciita, l’impiccagione è diventata inevitabile. Dall’inizio dell’anno sono oltre 270 le vittime del boia di Teheran e i reati spesso non sono solo di sangue ma anche di natura sessuale. Con la vita, infatti, si pagano sia i rapporti omosessuali e l’incesto, sia l’adulterio. Ma si finisce lapidati anche per avere subìto (badate bene: subìto) uno stupro. Ne sa qualcosa la sedicenne Zhila Yiadi, che ne aveva tredici quando nel 2005 il fratello la violentò e dalla violenza nacque un figlio.

Pochi mesi fa questa ragazzina è stata lapidata senza pietà. L’elenco potrebbe allungarsi fino a diventare uno di quei rapporti che Amnesty “amnesy” International si dimentica spesso di pubblicizzare, non di compilare, quando c’è di mezzo il regime degli ayatollah. Che il 14 novembre è finito su tutte le prime pagine per la crudeltà delle dichiarazioni del proprio membro della commissione parlamentare sull’energia e capo delegazione in Inghilterra Mohsen Yayhavi. Yyahavi, infatti, ha detto al proprio interlocutore, il primo ministro inglese Gordon Brown, che ci sono ottime ragioni per impiccare e torturare gli omosessuali. Anzi: meglio impiccarli dopo averli torturati. E questo perché non si riproducono e danno scandalo, oltre che per il fatto che la pubblica attestazione di omosessualità è punita senza pietà dalla shariah coranica. Purtroppo queste parole in Iran raccontano fatti che continuano ad accadere e di cui in Europa ci accorgiamo raramente. Come quando, lo scorso settembre, scoppiò il caso della lesbica iraniana Pegah Emamabakhsh, costretta chiedere all’Inghilterra di non essere estradata a Teheran per evitare la stessa sorte di tutti gli altri omosessuali. E ce la fece per un soffio, visto che l’ottusa burocrazia giudiziaria britannica non voleva riconoscerla come vittima di persecuzione. E se non ci fosse stata la mobilitazione internazionale... chissà come sarebbe andata a finire.

Non è stata così fortunata, invece, la povera Fakhte Samadi, una donna impiccata lo scorso 17 ottobre per avere ucciso il pretendente marito, una sorta di padre-padrone di 80 anni che la violentava e la costringeva ad avere rapporti sessuali con lui, nonostante la donna non volesse neanche sposarlo. Lo stesso giorno che Fakhte veniva impiccata nel carcere di Evin, a farle compagnia c’erano altre dieci persone tra cui un ragazzo di diciotto anni. Cari europei, l’Iran oggi è questo. E non è un caso se gli esponenti in esilio della resistenza pregano ogni giorno che George W Bush si decida a rovesciare il regime degli ayatollah e di Ahmadinejad.

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