Donna non sposata risarcita per la morte del compagno: «Il dolore è lo stesso».
(Luca Petermaier - Trentino) Non c'è differenza tra il dolore di una vedova e quello di una donna a cui è morto il compagno. Il matrimonio? Per il tribunale non conta. E così una donna che perse l'uomo con cui conviveva more uxorio in un tragico incidente stradale a Livo, in val di Non, ha ottenuto dal giudice lo stesso risarcimento spettante al coniuge, tabelle alla mano: 190 mila euro. Secondo il giudice Giulio Adilardi, che ha firmato la sentenza, «deve riconoscersi rilevanza sociale, etica e giuridica alla convivenza».
Se confermato anche in appello, il verdetto del tribunale (la sezione è quella distaccata di Cles) potrebbe avere conseguenze giuridiche rilevantissime aprendo le porte ad una sostanziale parificazione dei diritti tra sposati e conviventi, quanto meno in tema di risarcimento del danno.
Insomma, come spesso accade la giustizia sostanziale arriva prima di quella formale. Di fronte alla tragica scomparsa di un padre di famiglia, convivente da anni con una donna dalla quale aveva anche avuto una bimba, il giudice non se l'è sentita di usare un metro di giudizio diverso da quello applicato ai coniugi.
Il caso affrontato dal giudice Adilardi è quello di un operaio di origini lombarde che nell'ottobre di quattro anni fa venne coinvolto in uno spaventoso incidente stradale a Livo. L'auto su cui viaggiava insieme ad un collega sbandò, il conducente ne perse il controllo e il mezzo andò a schiantarsi contro un autocarro proveniente dalla direzione opposta.
Nessuna delle tre persone coinvolte riportò gravi conseguenze, tranne l'operaio lombardo che viaggiava sulla Opel Astra. L'uomo rimase in coma tredici mesi. Un periodo lughissimo durante il quale non solo la sua vita ma anche quella dei suoi famigliari venne radicalmente sconvolta. La madre andò in depressione, la sorella - infermiera - decise di licenziarsi per poter seguire da vicino il fratello e la convivente vide sfumare il sogno di una vita felice insieme a quell'uomo da cui aveva appena avuto una figlia.
La vicenda finì in tribunale in seguito all'atto di citazione dei famigliari dell'operaio che, nel corso del processo, morì. Il decesso ha complicato non poco le cose in fase di giudizio determinando, alla fine, un risarcimento record di 2 milioni e 200 mila euro in favore di padre, madre, convivente, figlia e sorella del defunto. Ad alzare la somma liquidata dal tribunale è stato il riconoscimento del danno biologico anche al defunto. Insomma, secondo il giudice Adilardi anche l'operaio ha diritto al risarcimento per la sofferenza patita durante i tredici mesi di coma e la sofferenza è stata liquidata in 1 milione di euro, cifra che ovviamente andrà agli eredi.
Ma il punto forse più innovativo della sentenza è quello che affronta il risarcimento alla convivente more uxorio. Già in altre sentenze il tribunale di Trento (e quelli del circondario) si erano pronunciati in favore del riconoscimento del risarcimento anche al convivente della persona defunta. In questo caso, però, il tribunale è andato oltre parificando, di fatto, le posizioni del coniuge e del convivente more uxorio. «E' pacifica - scrive Adilardi - l'esistenza di un vero e proprio nucleo famigliare costituito oltre che dal defunto e dalla compagna anche dalla figlia». Il giudice ha valutato la stabilità della convivenza e la durata della coabitazione concludendo che «deve liquidarsi all'attrice un danno morale corrispondente a quello riconosciuto al coniuge pari a 190 mila euro», poi lievitato fino a 357 mila euro.
L'assicurazione chiamata in causa, per altro, ha presentato appello (contestando, tra l'altro, sia la parificazione tra coniuge e convivente che la quantificazione del danno biologico riconosciuto al defunto) e ottenendo la parziale sospensione dell'esecutività della sentenza in attesa del processo di secondo grado.
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