(Francesco Minciotti - Agenzia radicale) Quello di Carlo Ruta è un nome che non suona certamente nuovo a chi s'interessa di blog e di diritto: già nel lontano 2004, il signor Ruta ebbe primi screzi giudiziari per le sue indagini — sul cui merito non mi pronuncio in questa sede, trattando della mera libertà d'espressione, che come tale deve prescindere dai contenuti, già abbondantemente sorvegliati dal reato di diffamazione — che analizzavano la realtà ragusana sotto più punti di vista.
Ebbene, il suo nome torna oggi in auge per via di un'ulteriore vicenda giudiziaria che ha del grottesco: il signor Ruta è stato condannato al pagamento di 150€ di multa e al pagamento delle spese giudiziare per un totale di 5000€, perché ritenuto colpevole di violazione dell'art. 16 dell'arcaica legge sulla stampa (l. n. 47/1948), la cui rubrica recita «stampa clandestina». In pratica — si apprende da più fonti, fra cui il blog giuridico di Guido Scorza — al sig. Ruta sembra essere stata contestata l'irregolare periodicità della stampa (c. 2), o forse la fattispecie propria di stampa clandestina («Chiunque intraprenda la pubblicazione di un giornale o altro periodico senza che sia stata eseguita la registrazione prescritta», c. 1), da parte del Tribunale di Modica. Il punto nodale, contrastatissimo nella blogosfera ed anche a giudizio di chi scrive, è che la sentenza in questione sembra equiparare due forme di pubblicazione diverse in radice, e cioè stampa e blog; la prima, in tutte le sue manifestazioni (da quella cartacea a quella a mezzo Internet) prevede una struttura organizzata, un rapporto di lavoro economicamente retribuito, una registrazione di tipo burocratico presso i Tribunali; il secondo, al contrario, è simile solo nella forma, ma radicalmente diverso nella sostanza: tendenzialmente non retribuito (modesti ricavi pubblicitari a parte, peraltro marginalmente usati rispetto alla massa dei blogger), senza alcuna periodicità, senza necessità di registrazione burocratica presso i Tribunali o altro. Insomma, e per citare un lettore arguto: il blog è l'equivalente telematico dello Speakers' corner d Hyde Park, un luogo cioè dove chiunque può dire la sua, esprimere il suo pensiero (libertà costituzionalmente garantita dall'art. 21) in forma elettronica e con un'impaginazione che, al più, può ricordare quella di un giornale in linea, ma del quale viene meno tutta la struttura organizzativa che lo sostiene.
Ovviamente, inferire tutto questo dall'anacronistica normativa sulla stampa che, sinistramente, quest'anno compie sessant'anni, è quasi impossibile; e ridicola è stata l'idea del giudice di ricondurre l'idea del blog all'art. 16, redatto in un'epoca in cui esisteva a malapena la TV. La verità è che la legislazione di settore ignora a piè pari questo fenomeno — fenomeno in espansione vertiginosa: indipendentemente dalla qualità del contenuto, si valuta che vengano aperti 175.000 blog al giorno, nel mondo — che invece avrebbe bisogno non dico di una regolamentazione legislativa (la libertà d'espressione, bene costituzionalmente tutelato, non è già di per sé sufficiente?), ma quantomeno della sua comprensione da parte del legislatore, per far sì di «legiferargli attorno».
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