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martedì 17 giugno 2008

Eredità disastrose. E se Roma fallisce?

Un bus di Roma
(Renzo Rosati e Mario Sechi- Panorama) I romani ballano sull’orlo di un vulcano. E per Gianni Alemanno, il neosindaco che ha sbaragliato il “modello Roma” di Walter Veltroni e Francesco Rutelli, la festa rischia di essere molto breve. Addio a molti appuntamenti dell’Estate romana, addio quasi certo alla notte bianca. Per ora.
All’origine di tutto c’è l’enorme debito ereditato dalla giunta Veltroni (che nel 2001 lo aveva trovato in gran parte nei bilanci di Rutelli): oltre 7 miliardi di euro, che potrebbero aumentare a 9-10. A quel punto la capitale rischierebbe il default, il fallimento. E scatterebbe il commissariamento: spese ridotte all’osso; investimenti come la metropolitana a rischio; addizionale comunale al massimo di legge: dallo 0,5 attuale allo 0,8 per cento. Un salasso per i cittadini, che nel 2007 si sono visti aumentare il balzello e che già pagano l’1,4 di addizionale regionale a causa del debito sanitario. E, per il centrodestra, la vittoria del 13 aprile si trasformerebbe in un mezzo incubo.
Conto alla rovescia
Proprio per questo è scattato un affannoso conto alla rovescia tra Campidoglio, ministero dell’Economia e Palazzo Chigi. A fine maggio i tecnici della ragioneria comunale (il titolare precedente, Francesco Lopomo, è andato in pensione a marzo) hanno fatto le pulci al documento di programmazione finanziaria approvato a fine 2007 dalla giunta Veltroni e ad altri possibili scoperti. E hanno accertato che ai 7,032 miliardi contabilizzati da Veltroni e dal suo assessore Marco Causi ne andavano aggiunti altri 2 o 3: 1 derivante dai bilanci sempre oscuri di Ama e Trambus, le aziende della nettezza urbana e trasporti; 1,8 miliardi di mancati accantonamenti per contenziosi giudiziari; e debiti con enti e istituzioni, tra i quali 170 milioni della Cassa depositi e prestiti legati alla ristrutturazione, mai avvenuta, dell’Atac (autobus, altro buco nero da 13 mila dipendenti).
Il 29 maggio la ragioneria capitolina ha girato il dossier alla Ragioneria dello Stato guidata da Mario Canzio. E, con un secco documento di quattro pagine, ha imposto ai dirigenti comunali, al sindaco, agli assessori e ai presidenti dei 20 municipi romani il “blocco di tutte le spese salvo quelle che non generino ulteriore danno all’amministrazione”. Atto così tradotto da Alemanno: “Dobbiamo limitarci allo stretto necessario ai bisogni dei cittadini”.
Dopodiché il sindaco si è messo a fare la spola tra l’ufficio di Giulio Tremonti e Palazzo Chigi. Tre incontri con il ministro per scongiurare il commissariamento (che per legge compete al titolare dell’Interno, il leghista Roberto Maroni) e chiedere al governo di anticipare dei soldi. La coperta di Tremonti è tradizionalmente corta. Tuttavia, anche il ministro non pare avere interesse al default: porterebbe inevitabili polemiche sull’azzeramento dell’Ici (per la capitale vale 380 milioni), sul blocco delle addizionali e in generale sul federalismo fiscale, cavallo di battaglia suo e della Lega. Ma i tempi sono strettissimi, il conto alla rovescia è al termine: “Giovedì 19 giugno saprete tutto” promette Alemanno.
Vent’anni di debiti
Alle accuse di finanza allegra Veltroni ha sempre replicato in due modi: quando è diventato sindaco, nel 2001, ha ereditato un buco già di 6 miliardi; e poi i trasferimenti dallo Stato a Roma sono inferiori a quelli delle altre metropoli. Nel periodo 2001-2006, 276 euro pro capite, contro i 304 per Milano, i 387 per Palermo, i 553 per Napoli. Ma se questo argomento ha un fondamento, l’altro chiama in causa Francesco Rutelli, sindaco dal 1993 al 2001 e candidato del Pd nel 2008. L’ex leader della Margherita si difende a sua volta tirando in ballo la Prima repubblica. Argomento però non sufficiente a giustificare debiti che dal 1995 a oggi hanno sempre oscillato intorno ai 6 miliardi, fino al record del 2007.
Osserva l’economista Gianfranco Polillo, ex capo del dipartimento economico di Palazzo Chigi: “Non basta più ricordare lo status di capitale d’Italia. Come reagiranno i milanesi visto che il debito di Roma vale il 60 per cento di quello di tutti i comuni capoluogo?”.
Il giallo degli interessi
La lente è puntata sulla struttura degli interessi messa in piedi dal Campidoglio. Si legge a pagina 116 del dpf veltroniano: “La percentuale del debito coperta tramite derivati è attualmente del 21 per cento, un volume di swap pari a 1,35 miliardi”. In termini semplici: il Campidoglio si è indebitato negli strumenti a maggior rischio, tanto più in piena crisi dei mutui subprime.
La relazione afferma di aver conseguito risparmi per 205 milioni. Ma solo sulla carta, perché (tabella qui a fianco) la composizione del debito così rinegoziata è per il 41 per cento a tasso fisso “trasformabile in variabile” e per il 16,7 per cento a tasso variabile “trasformabile in fisso”. Insomma, il Campidoglio avrebbe scommesso su una riduzione dei tassi quando accadeva esattamente il contrario. Osserva Polillo: “Il risultato è un carico d’interessi di 500 milioni l’anno che raggiungerà i 900 entro il 2017″.
La partita politica
Alemanno ha il migliore alleato a Palazzo Chigi in Gianni Letta. Il sottosegretario di Silvio Berlusconi ha da sempre un occhio di riguardo istituzionale per Roma: fu lui, anni fa, a sbloccare i finanziamenti per la metropolitana e a benedire l’Auditorium (oggi un’impresa attiva). Ed è sempre lui, ora, a tenere aperto il canale con Walter Veltroni. Proprio Letta ha suggerito a Berlusconi la soluzione tampone: imporre alla Regione Lazio, retta dal pd Piero Marrazzo, di iniziare a restituire al Campidoglio un debito da ben 1,7 miliardi. Pena un altro commissariamento a causa del deficit sanitario.
La lettera firmata Berlusconi è partita il 6 giugno: dà a Marrazzo 30 giorni di tempo, chiede di iniziare a mettere ordine nei conti. Marrazzo non ci ha pensato due volte: a costo di una resa dei conti nel Pd ha licenziato il suo assessore alla Sanità, Augusto Battaglia. Tra fondi della regione e un possibile anticipo della futura iva “federale” concesso dal Tesoro (si parla dello 0,8 per cento) il Campidoglio si potrebbe salvare. Dopodiché si tratterà di convincere le agenzie di rating, cioè il mercato: nel 2007 la Fitch aveva corretto l’outlook sul debito capitolino da “stabile” a “negativo”, mentre la Standard & Poor’s minaccia il declassamento da A+ ad A. E poi agire con mano ferma sulle controllate: Ama, Acea, Trambus, Atac.
Questione ben nota a imprenditori come Andrea Mondello, presidente della Camera di commercio. In un rapporto del gennaio 2008 osserva: “Sia per le local utility sia per le infrastrutture partecipate dagli enti locali restano sotto il profilo dell’efficienza e della produttività forti divari tra Centro-Nord e Centro-Sud”.
Meno diplomatico Salvatore Rebecchini, ex presidente della Cassa depositi e prestiti: “Abbiamo comuni con grandi patrimoni immobiliari gestiti a condizioni non di mercato, e nello stesso tempo forti indebitamenti. Gli stessi comuni si trovano ad avere partecipazioni in società quotate, come l’Acea a Roma. Un paradosso sul lato dell’attivo e del passivo: troppi debiti e scarsissima redditività”.
Comunque vada, per Alemanno la strada è segnata: a Roma poco effimero, molto lavoro e nulla da scialare.

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