(Panorama) Se si trascorrono un paio di giorni nella capitale del Regno di Mezzo, le mete turistiche da visitare sono talmente tante che spesso viene meno la possibilità di spostarsi in zone un po’ più periferiche, sconosciute ai più, ma non per questo meno interessanti della
Città Proibita o della
Grande Muraglia. Una di queste è il
distretto 798 (noto anche come
Dashanzi Art District), l’equivalente orientale di Soho o del
Greenwich Village di New York. Di fatto, il distretto 798 altro non è altro che la
versione moderna di un vecchio complesso industriale sorto a fine anni ‘50, emblema della neo-cooperazione industriale e militare tra la Germania dell’Est e la Repubblica Popolare Cinese, entrambe sotto il cappello dell’ex-Unione Sovietica. Ancora attivi negli anni della Rivoluzione Culturale, tutti i padiglioni della fabbrica vennero tappezzati da slogan maoisti dipinti in un rosso brillante, molti visibili ancora oggi. Solo negli anni ‘80, per ordine dell’allora leader
Deng Xiaoping, la produzione industriale venne interrotta.Il caso (o la fortuna) vollero che il distretto fosse abbandonato nel momento in cui la comunità di artisti contemporanei di Pechino, emarginata dal governo centrale, fu costretta a cercarsi un rifugio in angoli ancora più remoti della capitale. E fu così che, a suon di passa parola, nei primi anni del nuovo millennio le dismesse cattedrali industriali in stile
Bauhaus vennero ripopolate, in un contesto che molti definiscono un “post-industriale chic”, sempre più affollate dai famosi
“BoBo” (”borghesi-bohemiens”).Da allora, il distretto 798 rappresenta il cuore dell’arte contemporanea cinese: negozi, gallerie e studi già attivi sono circa trecento, tra cui anche l’italiano
Marella, ma ogni giorno continuano ad aprirsi nuove gallerie, ristoranti e showroom, e anche i marchi occidentali più in voga, tra gli altri, Omega e Christian Dior, spesso scelgono il “798″ per realizzare sfilate e servizi fotografici. Studenti e collezionisti, sia cinesi che stranieri, ne fanno oggi una tappa obbligatoria durante ogni loro trasferta a Pechino, sia per ammirare le reinterpretazioni della propaganda cinese che per respirare l’atmosfera tutta particolare di questo ex complesso industriale.
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