(Riccardo Barenghi - La Stampa) Il decreto è passato, Prodi ha avuto la fiducia, Veltroni ha vinto la prima battaglia da premier ombra. E da oggi possiamo vivere tutti più sicuri perché gli immigrati comunitari sospettati di essere poco di buono potranno essere cacciati senza tanti complimenti. Ce la possiamo anche raccontare così, ma non è andata così. Ieri al Senato è successo che un provvedimento di legge, varato dal governo sull’onda emotiva di un orrendo omicidio avvenuto a Roma, sia passato per un pelo (Cossiga).
E solo perché il governo è stato costretto prima a mettere la fiducia e poi a promettere che una norma inserita nel decreto - peraltro contenuta nel disegno di legge di un suo ministro, Barbara Pollastrini -, che punisce le discriminazioni contro gli omosessuali, sarà abrogata alla Camera. Per carità di patria, ossia per non far cadere il governo, Rifondazione e il resto della sinistra radicale hanno fatto finta di niente e hanno dato il loro assenso. Nel frattempo, si erano fatte sentire pesanti pressioni vaticane, qualcuno diceva addirittura che avesse telefonato il Papa in persona (ma questo è molto improbabile) per convincere i senatori iper-cattolici a votare no. E infatti Giulio Andreotti e Paola Binetti hanno detto no anche alla fiducia: le rassicurazioni del ministro Chiti non li hanno rassicurati abbastanza. Questo è successo ieri in Senato, a chiusura dell’ennesima settimana di passione per Prodi e il suo governo, bombardato da tutte le parti, e in particolare dalla parte che lo dovrebbe sostenere. Con un Bertinotti che lo paragona a un «poeta morente», con un Veltroni che lo difende in pubblico ma che in realtà è già d’accordo col Presidente della Camera – e anche con parecchi dirigenti del suo Partito democratico, oltre che con parte dell’opposizione – per andare avanti con le riforme in ogni caso, Prodi o non Prodi. Con un centrodestra che chiede la sua testa un’ora sì e l’altra pure. E con una fibrillazione generale che non consente di governare sul serio, al massimo di navigare a vista se non addirittura di galleggiare alla deriva.
L’altra settimana era il welfare, quella prima la Finanziaria, ieri la sicurezza, domani sarà di nuovo il welfare, poi ancora la Finanziaria e chissà cos’altro. Soprattutto è evidente da tempo, e da ieri lo è ancora di più, che questa maggioranza non sta insieme e non sta nemmeno in piedi. Qualunque sia l’argomento in discussione c’è qualcuno che si dissocia, che minaccia di votare no o addirittura che dichiara fallita la missione del centrosinistra (da Dini a Bertinotti). Non è una questione di numeri, ma politica. Ed è allora con la politica che bisogna affrontare il problema. Ed è allora che il presidente del Consiglio potrebbe – anzi dovrebbe – prendere l’iniziativa: magari smettendo di far finta che tutto vada bene e che il tempo gli darà ragione. Perché il tempo ormai sta scadendo, o forse è già scaduto
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