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lunedì 3 dicembre 2007

Riforma elettorale: il rompicapo di Veltroni.

Walter Veltroni, leader del Pd | Ansa
(Stefano Brusadelli - Panorama) È peggio del cubo di Rubik, il rompicapo che sfida i solutori a comporre tra la miriade di combinazioni possibili l’unica capace di far apparire su ogni faccia nove quadrati dello stesso colore. Per trovare una nuova legge elettorale capace di soddisfare (o almeno non scontentare troppo) tutti i rissosi soci della Parlamento spa, Walter Veltroni dovrà compiere un miracolo. Perché dentro la testa di ogni negoziatore c’è un preciso obiettivo politico, dal quale discendono la preferenza, o il veto, su ciascuna delle soluzioni tecniche messe sul tappeto.

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Veltroni e l’autosufficienza democratica
Nato per archiviare le convivenze tra riformisti e massimalisti imposte dal premio di maggioranza (e responsabili sia del tracollo del Prodi 1 nel 1998 sia della grama vita del Prodi 2), il Pd di Veltroni ha bisogno di una legge elettorale capace di spedirlo al governo senza bisogno di Prc, Pdci, Verdi e Sd e del loro 8-10 per cento. Il “Veltronellum”, che con collegi minuscoli (meno eletti uguale quorum più alti) sovrarappresenta i partiti grandi, garantirebbe al Pd di arrivare a sfiorare il 40 per cento dei seggi con una forza elettorale stimata sul 28-30 per cento. A quel punto basterebbero un po’ di centristi allergici al berlusconismo per avere una maggioranza solida, senza più “cose rosse” tra i piedi.
Con il tedesco, che è un proporzionale puro, il Pd avrebbe invece sempre bisogno di Bertinotti e soci. Inoltre diventerebbe forte la tentazione di mettere in piedi quella grande coalizione che il sindaco di Roma dice essere in contrasto con la vocazione bipolare del Pd.
Quanto al sistema referendario (che porta alla costruzione di due sole grandi formazioni), per Veltroni sarebbe più danno che vantaggio: per contendere al Pdl il premio di maggioranza il Pd dovrebbe far lista con la sinistra radicale. E saremmo da capo.

Il simbolo del nuovo partito di Silvio BerlusconiBerlusconi e la conquista del centro
Il Cavaliere è arrivato alla stessa conclusione di Veltroni, anche da qui nasce il nuovo feeling tra i due: basta con gli alleati che portandoti in dote una manciata di seggi ti costringono a estenuanti mediazioni di governo, irritanti per gli elettori.
Ma rispetto al Pd Berlusconi ha un vantaggio. La sua Fi (o Pdl che sia) può collocarsi sia al centrodestra sia al centro. Con il proporzionale senza premio di maggioranza tutti gli esiti diversi da una schiacciante vittoria del centrosinistra sarebbero favorevoli all’ex premier. Se dalle urne uscisse una maggioranza di centrodestra, bene. Se uscisse un pareggio, l’incarico per guidare una grande coalizione andrebbe probabilmente a lui, visto che il Pdl (sondaggio Ispo-Corriere della sera del 22 novembre) è potenzialmente più forte del Pd. E persino se un reprint del centrosinistra attuale riottenesse la maggioranza Berlusconi potrebbe tentare di smontarlo, tirando dalla sua i riformisti indisponibili a ripetere l’accordo con la sinistra radicale. Ma anche il referendum per lui andrebbe benone: costringerebbe An e Udc ad andare a Canossa nel Pdl, che si aggiudicherebbe quasi certamente il premio. Però per amore di Umberto Bossi (vedi) deve proclamarsi contrario.

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Fini e l’incubo dell’irrilevanza
Per il capo della destra l’incubo è quello di tornare ai margini del gioco politico. Il 10-12 per cento di An è oggi indispensabile grazie al premio di maggioranza che obbliga a predefinire le alleanze. Non lo sarebbe più in un sistema proporzionale (tedesco o spagnolo che sia), anche perché potrebbe facilmente nascere una grande coalizione che sforbicerebbe la sinistra radicale e la destra. Per questo Gianfranco Fini vuole a tutti i costi sistemi con vincolo di coalizione. Per lui il tedesco e lo spagnolo sono veleno; il referendum una manna.

Il simbolo del PrcBertinotti e Cosa rossa
A Rifondazione i primi 18 mesi di governo stanno confermando l’idea che il proprio habitat, più che il governo, sia l’opposizione, paradiso dei puri e duri. Dove starebbe ancora meglio se, inglobando Pdci e Sd (con i Verdi l’operazione è più difficile), riuscisse a creare una Cosa rossa tra il 7 e il 10 per cento. Il sistema tedesco, con la soglia di sbarramento al 5 per cento, sembra tagliato apposta per indurre Pdci e Sd, sotto minaccia di estinzione, ad assecondare il progetto. Il Veltronellum con uno sbarramento di fatto tra il 6-8 per cento, è più rischioso. Come il sistema referendario, che vanificando le coalizioni (il premio va solo ai partiti) rimette tutti sotto la tagliola degli sbarramenti attuali: 4 per cento alla Camera e 8 al Senato. Troppo alto pure per la Cosa rossa.

Il simbolo della Lega NordBossi e la ridotta della Valle Padana
Anche per il senatur, come per Fausto Bertinotti, l’importante è sopravvivere mantenendo immacolata la propria identità. Ma poiché i numeri sono modesti (4,6 per cento nel 2006, idem oggi, a sentire l’Ispo), il Carroccio vuole uno sbarramento ancor più basso di quello tedesco. Sul referendum stessa allergia di Rifondazione e di tutti i piccoli, che non potrebbero mai far parte di maxipartiti. Con chi potrebbe mai fondersi la Lega?

Il simbolo dell’UdcCasini e il sogno dei due forni alla tedesca
Come il Bettino Craxi dei tempi d’oro, anche Pier Ferdinando Casini sogna di diventare l’ago della bilancia, capace di concedere la maggioranza sia a Berlusconi sia a un Veltroni “debertinottizzato”. Per condurre questo lucroso gioco ha bisogno di un sistema che non obblighi a dichiarare prima da che parte si sta, quindi senza premio di maggioranza. Il tedesco gli calza a pennello, perché è convinto, con qualche innesto (Clemente Mastella, Savino Pezzotta, Lamberto Dini?), di stare ben sopra il 5 per cento. Del resto, quello è il sistema che per decenni ha consentito al Fdp, i liberali tedeschi, di fare da ago della bilancia tra la Cdu e la Spd.

Il simbolo dell’Ulivo di ProdiParisi, Prodi e le “zeppe” costituzionali
Per Arturo Parisi e i prodiani tutti il bipolarismo è una religione. Il ministro della Difesa è tra i promotori del referendum, e Prodi fu nel 1996 l’inventore dell’Ulivo, il padre del Pd. A questo si aggiunge il timore del premier che una rapida intesa tra Berlusconi e Veltroni sulla legge elettorale possa portare a elezioni anticipate già nella primavera del 2008.
Da Palazzo Chigi si intima perciò a Veltroni la condizione che alla riforma elettorale si accompagnino anche laboriose riforme costituzionali. Inaccettabile per il Cavaliere, desideroso di andare alle urne quanto prima per sfruttare il vento propizio. Su questa base, tra prodiani e finiani è nata una bizzarra convergenza d’interessi: tutti e due puntano al referendum e con le riforme costituzionali vogliono in fondo ostacolare il dialogo tra il sindaco della capitale e il capo di FI. Stranezze della politica.

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