Stiamo parlando del nuovo ministro dell’Economia argentino - o flamante, come dicono più pomposamente sulle sponde del Río de la Plata.
Neanche a Buenos Aires, dove negli ultimi 50 anni di ministri dell’Economia ne sono succeduti 53, uno come Martín Lousteau lo avevano visto mai. Non fosse altro che per l’età dal momento che ha già infranto un record, quello di più giovane ministro argentino dell’Economia di tutti i tempi. Comunque, dati i finali ingloriosi dei suoi predecessori, è difficile che possa far peggio.
Dal ministro dell’Economia del genocida Videla, Martinez De Hoz, denunciato di recente per apologia della dittatura, a quello di Menem e De La Rúa, Domingo Cavallo, ricordato più per il “corralito”, ovvero il blocco dei conti bancari, che per i meriti accademici, la storia dei ministri dell’Economia argentini è degna di un thriller alla Stephen King.
Pastore, Pugliese, Rapanelli, Cavallo I, Machinea, Cavallo II, Frigeri, Lavagna I, Lavagna II, Miceli, Peirano. Non fatevi ingannare, non si tratta di una squadra di calcio, bensì degli undici ultimi ministri dell’Economia di origine italiana che negli ultimi 25 anni si sono succeduti al comando del dicastero che decide le politiche monetarie e fiscali per dare all’Argentina la stabilità e il futuro radioso che meriterebbe questo paese ricco di risorse e di terra.
Invece della stabilità, tuttavia, le performance economiche del Paese del Tango negli ultimi 25 anni ricordano quelle di un ottovolante. Prima l’epoca della plata dulce, ossia dei “soldi facili”, di inizio dittatura (1976-1980) quando era sufficiente mettere i risparmi in banca perché, con rendimenti di gran lunga superiori all’inflazione reale, il denaro si moltiplicasse. Poi la crisi del 1989, quando dopo una svalutazione del cambio ricordato ancora oggi come “Rodrigazo”, l’inflazione superò il 2mila% in un anno. A seguire il boom degli anni Novanta sino a quando, a causa di una insostenibile parità di 1 a 1 nel rapporto peso-dollaro, il sistema crollò a fine 2001. “Corralito”, default e i tristemente noti tango bond furono la conseguenza di quell’ultima crisi in cui in 12 mesi al ministero dell’Economia si succedettero addirittura in sette: Manichea, López Murphy, Cavallo II, Capitanich, Frigeri, Lenicov e Lavagna…
In quanto a stabilità dunque, il giovane Lousteau difficilmente potrà far peggio. Inoltre, il ministro dell’Economia uscente Peirano gli lascia un Paese il cui Pil cresce dal 2003 a ritmi quasi cinesi (una media del 9% l’anno), con un ciclo che appare dunque fortunato. Il condizionale è però d’obbligo sull’ottovolante argentino e le sfide che ha di fronte Lousteau sono tante: dall’inflazione (che, dopo quella venezuelana, è la più alta del Continente), all’ammodernamento dell’apparato produttivo.
Di sicuro il ragazzo ci sa fare – un master alla London School of Economics, in politica dal 1996 e più giovane presidente (dal 2005 al 2007) del Banco de la Provincia de Buenos Aires – e ha le idee chiare. I suoi obiettivi, più volte ribaditi, sono una politica monetaria che favorisca la svalutazione del peso per spingere le esportazioni delle commodities agricole che, a loro volta, devono essere tassate per garantire entrate fiscali. Sarà questa la ricetta giusta che consentirà al giovane Lausteau dalla folta chioma di restare in sella più a lungo dei suoi predecessori?
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