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lunedì 17 dicembre 2007

I mercanti del tempio cacciati dal Vaticano.

(Uaar) “Non cederò mai, da domani mattina ritorno con la mia cassa di souvenir a piazza San Pietro”. Settimio Limentani è furioso, pronto a sfidare Benedetto XVI e la polizia vaticana. E con lui, gli altri dieci venditori ambulanti cui è stato intimato, lunedì scorso, di lasciare quei posti dopo decenni di pratica e quattro secoli e mezzo di tradizione. Quelli che vengono chiamati “urtisti” - “quelli che urtano”, perché appunto urtano i pellegrini con i loro contenitori pieni di oggetti - sono in effetti gli eredi degli ebrei romani costretti ad esercitare questi mestieri modesti (come la vendita di oggetti sacri presso le basiliche romane) da papa Paolo IV che confinò, nel 1555, la comunità ebraica nel ghetto. “Io lavoro dal 1975 a San Pietro; e prima di me mio zio! Se mi cacciano, è la fine. Non ho nient’altro”, s’indigna Limentani, 45 anni e padre di due figli. Ogni giorno, si apposta con le sue immagini pie, i suoi rosari e le sue medaglie nel confine tra Italia e Vaticano, sotto il colonnato del Bernini, in una sorta di limbo amministrativo. “Non c’è mai stata una vera regolamentazione” spiega. “Prima del 1978, le nostre casse venivano a volte sequestrate. Sotto Giovanni Paolo II, ci hanno lasciati tranquilli. Perché di punto in bianco questo nuovo papa che parla di famiglia, di lavoro e di virtù ci mette in mezzo alla strada?” Ufficialmente, per il decoro del luogo. Alcuni urtisti minacciano di incatenarsi a San Pietro. I responsabili della comunità ebraica sperano in “una mediazione”.

Fonte: Libération

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