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domenica 11 novembre 2007

Teatro: Nudi, in stanza, col pubblico.

(River-blog) Dignità autonome di prostituzione è uno spettacolo da vedere.
Parto da questo invito spudorato a chi mi legge, per raccontare la mia serata, con un’amica, alla Fonderia delle Arti, in via Assisi. Un invito che nasce da un’esigenza, confessatami dallostesso regista, Luciano Melchionna (che ha firmato quel pezzo magnifico di film che è Gas): “Stiamo in scena fino a quando c’è pubblico. Se la gente smette di venire, ci mandano via”. E’ la triste vita di un gruppo di attori che, in questo caso, si paga da solo l’affitto della sala, non sapendo se riuscirà a coprire le spese.
Veniamo allo spettacolo. All’ingresso si possono pagare tre tariffe, in cambio di altrettanti numeri di “tagliandi”: 10 euro (4 tagliandi), 25 euro (12 tagliandi), 50 euro (26 tagliandi). Ci sono due gruppi di attori: quelli che recitano nelle stanze (una decina in tutto), e altri cinque che accolgono il pubblico, e lo indirizzano verso questa o quella stanza. Il gattino che mi sono spupazzato non conta. La contrattazione del prezzo è relativa: alla fine per vedere uno spettacolo basta un tagliando.

Ogni esibizione dura massimo 10 minuti. In tutto gli attori sono 65, ma ogni sera ce ne sono molti di meno. La prossima settimana, ad esempio, verrà Carolina Crescentini.
A noi sono toccati i seguenti pezzi: una ragazza che, a seno nudo, ci raccontava il suo amore da 14enne per un uomo poi arrestato per violenza (hanno fatto sesso quando lei aveva 12 anni); una “Nuda gratuita”, questo il nome del personaggio, 40enne completamente nuda sulla sedia che raccontava la vita da prostituta; un processo a Gesù tratto da Dostojevski; Elettra, recitata in greco; un bravissimo meccanico che racconta dell’omicidio del fratello; un monologo di un ragazzo che parla del difficile rapporto coi genitori.
Il tutto intermezzato da sketch paradossal-comico che avvenivano nel corridoio, dove camminava anche un fantasma con la mano che grondava di liquido rosso. Non mi ha convinto il fatto che quasi tutti i monologhi fossero drammatici, un’osservazione che ho fatto pure al regista: “L’idea è quella di far passare il pubblico dalle pillole più leggere, in corridoio, ai pezzi di verità interiore nelle stanze”. Monologhi tutti firmati da Melchionna (avrò fatto una gaffe chiedendogli chi li avesse scritti?).

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Fa una strana impressione stare in una stanza, da solo, con una ragazza che ti urla in faccia, col seno di fuori.

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