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venerdì 25 aprile 2008

Grillo contro tutti al V-Day di Torino. «Giornalisti camerieri».

(Marco Ferrando) In piazza Castello la musica di Gianmaria Testa, voci e racconti partigiani. Due passi e nella vicinissima piazza San Carlo, Beppe Grillo, il suo popolo e tutti i suoi «vaffa»: ai giornalisti «camerieri», a Silvio Berlusconi e alla legge Gasparri. Nel mirino anche il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, «che dovrebbe essere presidente degli italiani e non dei partiti, che oggi non esistono più. Morfeo Napolitano dorme, fa il pisolino, poi esce e monita. Il referendum elettorale andava fatto prima non dopo le elezioni», perché farlo a elezioni avvenute «è come mettersi il profilattico dopo avere trombato».

Due piazze, due stili, due popoli diversi per il 25 aprile di Torino. Il primo round, almeno nella battaglia dei numeri, lo vince Beppe Grillo: intorno alle 16, quando i due appuntamenti entrano nel vivo, al V2-day si contano 10-15mila persone, mentre sotto il palco su cui Gianmaria Testa intona «Bella ciao» ci sono alcune centinaia di persone, forse mille, non di più. La differenza è evidente, non passa inosservata, ma il clima non è di scontro, non si arriva alla gara tra chi urla più forte: «Dedichiamo questa manifestazione a chi sta nell'altra piazza», mette subito in chiaro il re dei blog, prima di partire con la sua raffica di «sparate»: «Il 25 aprile è la festa della semi-libertà - grida – Siamo stufi che nei giornali e nelle tivù comandino banche, Confindustria, che ogni sera dicono ai giornalisti quello che devono scrivere».

Sulla Gasparri: «Pensate se Obama da presidente fosse anche il proprietario della Fox, della Abc e di altre televisioni». E poi: «Se Rete4 non va immediatamente sul satellite, come stabilito per legge, l'Unione Europea ci costringerà a pagare 300 mila euro al giorno da gennaio 2006». «Voglio tivù - ha affermato - come la televisione australiana, come la Bbc, pagata da chi la guarda».

Insulti ai giornalisti, come da prassi del comico assurto a re della blogosfera. «Sono dei camerieri, dei servi, dei servetti». Grillo se l'è presa in particolare con il direttore del Tg1, Gianni Riotta, definendolo una «sottospecie umana. Ha intervistato 'Testa d'asfalto' (Silvio Berlusconi, ndr) che mentiva su Enzo Biagi dicendo che Biagi se ne era andato via dalla Rai perché voleva la liquidazione. E Riotta è rimasto come un cagnolino in silenzio».

Mentre in piazza Castello salgono sul palco alcuni studenti per raccontare la «loro» resistenza, nell'altra piazza compare il volto di Adriano Celentano, in video. Ed è un'ovazione: «Quello che vuole dire Grillo è semplice, fare qualcosa prima che sia troppo tardi per controbilanciare le falsità che ogni giorno ci propinano». A Torino c'è il sole, e le presenze aumentano: da una parte si arriva a 4-5 mila persone, di là si superano le 35mila, piazza San Carlo è all'orlo, mentre dai banchetti dove si raccolgono le firme per i referendum "Libera informazione in libero Stato" (abolizione dei finanziamenti pubblici all'editoria, dell'albo dei giornalisti e della legge Gasparri) annunciano di aver già sfondato quota 30mila.

«Puntiamo a raggiungere un milione di firme. Oggi ha già appoggiato la nostra iniziativa firmando per il referendum l'ex ministro Willer Bordon», ha detto l'ex candidato a sindaco di Roma della lista Amici di Beppe Grillo, Serenetta Monti, visitando il gazebo allestito a Parco Schuster, nel quartiere San Paolo, dove si raccolgono firme per il referendum nell'ambito del V2-Day romano. Rispondendo alla domanda su un eventuale non ammissibilità del referendum (il quotidiano Il Riformista ha ricordato che la legge 352/1970 che regola i referendum prevede «che non può essere depositata richiesta di referendum ... nei sei mesi successivi alla data di convocazione dei comizi elettorali per l'elezione di una delle Camere»), uno degli organizzatori della manifestazione, Massimo Caroli, ha assicurato che «i consulenti legali di Grillo hanno garantito sull' ammissibilità del referendum» che punta, tra l'altro, ad abolire l'ordine dei giornalisti.

Per i referendum ha già firmato il leader dell'Italia dei Valori, Antonio Di Pietro, non nuovo a cavalcare l'onda grillista: «Riflettete su questi referendum, che al di là dell'istituto sono buoni sul piano del merito, perché alla fine cosa dicono? Dicono - secondo il leader dell'Idv - che i giornali finanziati dai partiti sono diventati un'occasione per fare soldi e non per informare. Secondo, che per comunicare e informare bisogna essere iscritti all'albo, come nel ventennio fascista. Ognuno dovrebbe poter esprimere le proprie capacità e qualità, la differenza la dovrebbe fare il lettore, che la legge o non la legge, a seconda se dice la verità o meno. Ecco perché noi riteniamo che questi referendum sono buoni nella sostanza, oltre che nell'istituto, come vero esempio di democrazia».

«Di Pietro stavolta...non ci azzecca». Anzi, «come si dice dalle mie parti, ha fatto acqua fuori dal vaso. L'Ordine dei Giornalisti che vuole abolire con furia non è quello di Mussolini ma quello di Gonella, costituito 45 anni fa da un'idea base di Aldo Moro, due democratici veri, seri, uomini rimpianti della vita costituzionale repubblicana», ha affermato poi Franco Siddi, segretario generale della Fnsi, il sindacato dei giornalisti. Un Di Pietro - aggiunge Siddi - «che abbiamo anche apprezzato in tante battaglie contro poteri pericolosi e inquinanti e contro i bavagli» e che però «dovrebbe sapere più di ogni altro che, nel tempo attuale, far cadere l'Ordine con un colpo di spugna senza un'idea di libertà garantita da un sistema di chiara legalità, significherebbe consegnarsi a poteri assoluti».

Il segretario generale del sindacato giornalisti ha sottolineato poi che «da Beppe Grillo, che è un comico, parole fuori dalla verità sono comprensibili anche se restano le parole di un daltonico. Prima di spararle grosse, occorre conoscere bene la storia e i fatti e avere la sapienza di incidere sulle cose che non vanno, a cominciare, in questo caso dai meccanismi e dalle procedure dell'Ordine, che dopo 45 anni hanno fatto il loro tempo e non reggono più», mentre invece «riformare è cosa più seria che sparare nel mucchio e cercare effetti speciali e risonanza mediatica».

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