Passato come una meteora nei cinema è la storia di amicizia tra un qurantenne italiano e precario e un ragazzo rumeno.
(Ella Baffoni - L'Unità) Un precario quarantenne, tante porte chiuse in faccia, ma ancora uno sguardo aperto. Un ragazzo romeno, sguardo chiaro e pulito sul mondo, voglia di lavorare e un sogno segreto. Cosa hanno in comune questi due uomini, che si incontrano, convivono, si capiscono? Lo racconta Cover boy, il film di Carmine Amoroso che ha vinto il premio dell’«Est Film Festival» di Montefiascone, in provincia di Viterbo, un festival di cinema d’autore organizzato e gestito per il secondo anno da giovani appassionati di cinema. Il premio per il film in concorso e quello del pubblico. Che è riuscito così a puntare i suoi riflettori su un film passato come una meteora nelle sale italiane – sette copie per tutt’Italia nonostante i successi e i premi all’estero - ma che il passaparola potrebbe rilanciare. Forse anche riportandolo nei cinema. Lo dice il regista, Carmine Amoroso, ritirando il premio: «È la storia di un’amicizia semplice. Avevo l’urgenza di raccontarla, quasi un obbligo morale nella deriva quasi razzista che sta prendendo l’Italia. Non solo verso i romeni ma anche verso i rom, un popolo ingiustamente discriminato che meriterebbe invece il Nobel per la pace. Non ha mai fatto la guerra, non ha mai avuto un esercito».
Ma gli uomini rom, come i giovani romeni o gli albanesi, o i polacchi, percorrono le strade del mondo, cercano la loro strada anche nelle nostre strade, e spesso nemmeno li guardiamo. Quella di Cover boy s’intreccia con l’indifferenza, le piccole crudeltà , gli egoismi di una Roma bella e crudele, incrocia il mondo della moda milanese, ricco e cinico e vuoto; il suo amico rumeno sceglierà la strada del marchettaro perché – ed è vero – «Qui se non hai i soldi sei meno di una cacca di cane». E il quarantenne italiano, (Luca Lionello) in fondo sta davanti alle stesse scelte dei due rumeni: precario per sempre, una vita strappata con i denti, ma un cuore generoso, che gli consente la grazia di un incontro ma poi non lo salva dalla disperazione.
Quando ci si rispecchiamo nello sguardo limpido del giovane Johan, non facciamo una gran figura. Resta il sogno, un sogno ereditato, ma inseguito con tenacia, nonostante tutto. Il sogno e la speranza, l’alba sul delta di un Danubio che dovrebbe essere luogo comune della civiltà d’Europa, di cui ha visto guerre e conflitti. E che ne ha visti anche in anni recenti e quasi dimenticati.
A ricordare la necessità della memoria, ma aggiornata alla deideologizzazione di moda ora, il corto premiato dalla giuria dei giovani studenti della Tuscia. Lo ha girato Pierluigi Ferrandini, Vietato fermarsi è il titolo, incitazione a non ripetere i gesti e i simboli della memoria – anche recente – ma di rispettarne il senso e il significato, rielaborandolo e mantenendolo vivo. Così la falce e martello degli anni 60 disegnata dal nonno sul muro contro una Democrazia cristiana trionfante diventa un «sosta vietata». Perché fermarsi, davvero, ora non si può.
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