Fuori legge. La madre di Rania esce di scena, lasciando soli i giovani sposi, avvolti nella penombra del loro nuovo rifugio. Ha consegnato sua figlia e adesso non le resta che mostrare al villaggio la garza macchiata di sangue. Le urla delle donne esplodono all’improvviso e la festa ha inizio. Forse non ci capiterà più di ascoltare i ricordi sconvolgenti di queste donne davanti ad una tazza di tè alla menta. Perché di fatto questi fatti, “legalmente”, non potranno più esistere. Il 7 giugno scorso il Parlamento egiziano ha approvato la nuova legge contro l’infibulazione, una lunga battaglia che ha visto i Fratelli Musulmani osteggiare il governo. Con infibulazione, o “Mgf” (mutilazione genitale femminile), s’intendono le mutilazioni dei genitali femminili praticate in molti Paesi in forme più o meno estreme: dalla cliteridectomia parziale o totale (un semplice taglio della punta del clitoride o l’asportazione del clitoride con taglio totale o parziale delle labbra) fino, a volte, all’infibulazione propriamente detta: la cucitura della vulva, con l’apertura di un foro per permettere la fuoriuscita dell’urina e del sangue mestruale. La donna diventa quindi un oggetto sessuale incapace di provare piacere, ha difficoltà a partorire e può contrarre infezioni. La sua verginità è garantita. Viene consegnata solo al futuro sposo, che se n’assicura durante la prima notte di nozze.
Nel 2005 il più grande quotidiano in lingua araba, l’egiziano Al-Ahram, dedica un dossier fortemente critico nei confronti della mutilazione genitale e dimostra l’infondatezza di tale pratica in base alle fonti islamiche classiche (il Corano e i detti del Profeta). Lo scorso anno la morte di una giovane donna, alla quale era stata praticata la Mgf per soli 8 euro, ha spinto il Ministero della Salute egiziano ad emanare un decreto che dichiarava illegali le mutilazioni genitali in tutti gli ospedali e nelle cliniche private del Paese. Dopo un ennesimo incidente avvenuto qualche settimana fa, in cui ha perso la vita un’altra adolescente, il Parlamento è stato costretto a studiare una linea più dura. In base alla nuova legge, l’escissione è punibile oggi con una pena da 3 mesi a 2 anni di reclusione o con una multa compresa fra mille e 5 mila Lire egiziane (118-590 euro). Da un lato la legge vieta e sanziona chi la infrange, dall’altro però prevede un cavillo, un’eccezione: la Mgf può essere applicata in caso di “necessità medica”. Un passo in avanti e uno indietro.
La testimonianza della ginecologa egiziana. Dice a Panorama.it Emma Bonino, da tempo impegnata nella battaglia contro la circoncisione femminile insieme alla diplomatica egiziana Moushira Khattab: “Francamente non mi preoccupa tanto il ‘cavillo’ quanto piuttosto che le leggi in Egitto, come spesso accade anche da noi, rimangano un po’ lettera morta”. Bonino si augura che la nuova legge venga difesa ed applicata, che anche le Ong continuino la campagna come “stiamo facendo noi un po’ in solitudine ” sottolinea “con NPWJ in Liberia, Eritrea, Djibouti”. Poi aggiunge “L’esempio egiziano ci aiuta!”
Casi di mutilazioni genitali arrivano anche in Italia con gli emigrati. Ce ne parla Mona Mansour, ginecologa egiziana che lavora all’ospedale S.Paolo di Milano. “La donna araba è cresciuta pensando che la sessualità fosse un territorio inavvicinabile” ci spiega. “È più un dovere che un piacere”. La dottoressa ci confessa di aver avuto delle richieste da quando lavora qui in Italia. “A chiedermelo sono generalmente le mamme, che hanno figlie e che non possono tornare in Egitto”. Ma lei si è sempre rifiutata. “La vedo come un’abitudine faraonica, dei tempi passati, quando si tentava di eliminare il senso di piacere alla donna per fare in modo che si concentrasse solo sui lavori pesantissimi di allora”. Poi conclude: “La donna è stata creata da Dio con il suo corpo, il suo clitoride e la sua vulva. La sessualità è una cosa che ci appartiene. Perché dovremmo eliminarla?”
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