Con lei la creatrice di «L-Word» e la tennista King.
(Paolo Valentino - Il Corriere della Sera) Hillary Clinton diventò un'icona gay nella primavera del 2000, ancora first-lady degli Stati Uniti, quando marciò sulla Quinta Strada durante la New York's Pride Parade. Fu il suggello di una lunga storia tra la comunità GLBT (Gays, Lesbians, Bisexuals, Transgender) e i Clinton, forse la coppia politica che più ha lottato per lo status e i diritti civili degli omosessuali negli Stati Uniti.
I gay hanno sempre ricambiato tanta attenzione alla loro causa, mobilitandosi e votando in massa per Hillary nelle due volte in cui si è candidata al Senato. E anche quando ha deciso di puntare alla Casa Bianca, la comunità ha riconosciuto subito il suo candidato.
Il 5 febbraio scorso, nelle primarie di New York e California, gli Stati con la più grande popolazione GLBT, 2 gay su 3 hanno scelto Clinton.
Ma il fenomeno Obama non ha lasciato indifferenti gli omosessuali americani. L'insurrezione del cambiamento guidata da Barack, il suo messaggio trans-razziale e transgender hanno finito per inserire un cuneo nella loro fedeltà clintoniana. E i gay hanno avuto un ruolo nelle 12 vittorie consecutive, infilate da Obama dopo il Supertuesday.
«Hillary è ancora la prediletta, i suoi rapporti con noi sono antichi e profondi, ma non c'è dubbio che Obama stia recuperando terreno», spiega Steve Elmendorf, che fu uno degli strateghi di John Kerry e ora appoggia l'ex first lady.
Il più celebre voltafaccia è stato quello di David Geffen, il tycoon di Hollywood co-fondatore di DreamWorks, apertamente gay e già grande elettore di Bill Clinton, diventato uno dei sostenitori più impegnati di Obama, per il quale ha raccolto 1,3 milioni di dollari.
Anche la cantante Melissa Etheridge, che nel 1993 organizzò il primo ballo inaugurale per gay e lesbiche durante l'insediamento di Bill Clinton alla Casa Bianca, ha scelto Obama.
Rimangono invece fedeli a Hillary l'ex campionessa di tennis Billie Jean King, la creatrice della serie- cult televisiva «L Word» Eileen Chaiken e Bruce Cohen, produttore di film come American Beauty.
Non che le posizioni dei due candidati democratici sulla GLBT community divergano molto. Entrambi vogliono il riconoscimento delle unioni civili, ma respingono il matrimonio gay. Chiedono più fondi per la lotta all'AIDS. Vogliono inasprire la legge contro le discriminazioni sui luoghi di lavoro. Vogliono porre fine all'ipocrita regola del «don't ask don't tell», non chiedere, non dire, nei ranghi dell'esercito, dove si può essere gay ma tacendo.
L'unica grossa differenza è che Barack promette di abolire una legge del 1996, firmata da Bill Clinton sotto la pressione del Congresso repubblicano, che proibisce il riconoscimento federale dei matrimoni gay. Hillary vuole invece abolirne solo alcune parti.
Obama ha corteggiato in modo pesante i gay, negli ultimi mesi. Forse perché doveva farsi perdonare la gaffe di ottobre, quando invitò a una sua manifestazione un popolare cantante gospel, Donnie McClurkin, più noto per aver definito l'omosessualità un peccato.
In febbraio ha comprato un'intera pagina di pubblicità sui principali giornali gay in Texas e Ohio, pubblicando una lettera aperta al popolo GLBT. «È in gioco la possibilità per questa nazione di confermarsi all'altezza della promessa di uguaglianza dei suoi fondatori, trattando tutti i suoi cittadini con dignità e rispetto».
L'appello ha funzionato solo in parte, Hillary ha vinto in entrambi gli Stati. Ancora una volta, gay e lesbiche hanno preferito la loro icona.
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