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mercoledì 9 gennaio 2008

Napoli. Su il sipario, c'è il principe Bolle. Tutto esaurito al San Carlo.

«La bellezza mi ha aiutato a diventare una star».

(Mirella Armiero - Il Corriere del Mezzogiorno) Tutto esaurito al Massimo napoletano per l'erede di Nureyev «Ballare a Napoli è una gioia», dice il danzatore, «questo pubblico mi fa sentire il suo affetto» «Ballare a Napoli? Una gioia, vista la risposta del pubblico». Roberto Bolle è entusiasta, addiritttura commosso, per l'affetto che il pubblico napoletano gli sta dimostrando in queste ore. File al botteghino del San Carlo, richieste disperate di biglietti, messaggi di fan partenopei sul suo sito: lo «Schiaccianoci» che va in scena stasera, 8 gennaio, si annuncia come un vero e proprio evento. Del resto Bolle è ormai ambasciatore italiano della danza nel mondo e il suo fascino lo ha trasformato nell'equivalente di una rockstar. «L'accoglienza napoletana mi fa un piacere enorme», rivela l'étoile della Scala. «Il pubblico qui è cresciuto e la grande aspettativa nei confronti dello spettacolo di stasera è un segnale di grande rilevanza, che chi di dovere non può trascurare».

Vale a dire?
«L'entusiasmo dei napoletani dimostra che una sola produzione di danza è ben poco nell'ambito della stagione. Il balletto non può continuare a essere trascurato, a Napoli come altrove».
I tagli napoletani sono segni della crisi in cui versa il Massimo. Che effetto le fa danzare in un teatro commissariato?
«Credo che il commissariamento sia un fatto positivo e così pensano anche i miei colleghi. C'era bisogno di un momento in cui prevalessero le regole. Si può partire proprio da qui per il rilancio di un teatro così glorioso. È giusto che si faccia un giro di vite, ma è chiaro che sarebbe inaccettabile se il problema si ripresentasse di nuovo di qui a qualche anno. Come è accaduto per i rifiuti. La situazione che vedo in queste ore è vergognosa, non fa onore al nostro paese. E non è giusto parlare di emergenza, perché il problema esiste da tanto e ci sarebbe stato tutto il tempo di risolverlo. Peccato per un luogo meraviglioso come Napoli».
Ha visitato la città? Cosa ha visto, a parte l'immondizia?
«Ho visitato la Cappella Sansevero con il Cristo velato e altri luoghi stupendi del centro storico. Mi sembra però che i napoletani siano abbastanza noncuranti nei confronti del loro patrimonio storico artistico. Ho visto muri imbrattati e cadenti, inciviltà... Forse sarebbe il caso di cercare di cambiare la mentalità dei napoletani ma anche il modo in cui la città è gestita. La sua bellezza è decadente. Il teatro e la danza possono servire».
In senso pedagogico?
«Sì, se le persone saranno sempre più attratte dall'arte e dall'armonia eleveranno anche lo spirito e saranno portate a vivere in modo differente. Il teatro e la danza contrastano anche gli effetti deleteri della tv».
Talvolta però anche la televisione può veicolare l'arte della danza. Lei è apparso in tv, anche come ambasciatore Unicef. E tv e giornali l'hanno lanciata come star. Come si trova in questa veste?
«La bellezza, non posso negarlo, mi ha aiutato. Ma il processo è stato lungo. La mia celebrità è iniziata con i successi all'estero, con le mie esibizioni davanti alla Regina d'Inghilterra e alle Olimpiadi. Se fossi stato bruttino e piccolino non sarebbe stato facile per il pubblico idealizzarmi e vedermi come il Principe dello ‘‘Schiaccianoci''. Ma questo mi offre oggi la possibilità di dare voce a una categoria di artisti che di solito è poco ascoltata. È per questo che mi fa piacere».
Stasera, dunque, sarà ancora una volta il Principe. Non le piacerebbe intepretare ruoli di ricerca, più sperimentali?
«Certo, per la mia crescita artistica prediligo oggi personaggi forti, intensi. E se quello di stasera è un ruolo di grande bellezza formale, lo è meno a livello drammaturgico. A settembre danzerò invece in una serata Roland Petit alla Scala, mi piacerebbe portarla anche a Napoli. Ma quando c'è una sola produzione è chiaro che bisogna scegliere classici come lo Schiaccianoci. Una programmazione ben fatta, però, abbina il classico al contemporaneo. Così il pubblico impara ad apprezzarlo».

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