(Panorama) “In questo Paese il sistema giudiziario applica contro i nuovi media criteri antichi: invece che punire chi ha commesso il crimine, si preferisce colpire tutti indiscriminatamente, senza rendersi conto della polemica e perfino dell’odio che ne scaturiscono”. Mentre scrive queste frasi sul suo blog, dedicato in gran parte proprio alla libertà di espressione e al mondo dell’informazione, Serkan, ricercatore della Università Bilgi di Istanbul, è sconfortato.
In meno di un anno la censura di Stato si è abbattuta a ripetizione su Internet. E se il black out del marzo dell’anno scorso di un sito altamente popolare come Youtube è durato “solo” tre giorni, in questo caso l’oscuramento va avanti da venerdì 18 gennaio. Ancora una volta, secondo quanto riportano più fonti in rete, qualcuno si è permesso di insultare il padre della patria Mustafa Kemal Ataturk e la dodicesima corte di Ankara ha deciso di intervenire abbassando la mannaia della censura.
Al momento non è chiaro quale siano i video o i commenti che hanno provocato la reazione della giustizia turca, ma i sospetti, secondo gli utenti di Wikipedia, sembrano dirigersi verso un video, postato il 7 novembre del 2007 dall’utente gaymal45, che si fa esplicitamente beffa delle presunte inclinazioni omosessuali di Ataturk. Su Youtube, anche solo digitando alcune parole chiave, è del resto possibile visualizzare decine di video, molti dei quali (non a caso) provenienti dalla Grecia, sulle indimostrabili inclinazioni gay del padre della patria turco.
Fatto ancora più singolare, è che mentre il giornale Sabah , nella sua versione online, interveniva ieri annunciando che il bando era stato levato, ci pensava la corte di Sivas, altra città dell’Anatolia, a mantenere il sito inaccessibile. Risultato? I 70 milioni di turchi che vivono nel Paese, se provano a collegarsi a Youtube, trovano solo due laconiche righe che li invitano a mettersi il cuore in pace.
“Quello che più mi fa andare in bestia - continua Serkan - è che i massimi vertici del nostro sistema giudiziario continuano a strepitare contro i rischi della diffusione del velo in Turchia, ma non sembrano altrettanto interessati al processo contro gli assassini del giornalista armeno Hrant Dink o alle limitazioni della libertà d’espressione causate dall’articolo 301″.
Un altro blogger turco sceglie la carta del sarcasmo per sfogare tutta la sua frustrazione. “Sapete che vi dico? - scrive Alper - Che potremmo fare meglio di così! Personalmente preferirei una versione turca del Grande Firewall adottato in Cina. Voglio una nuova versione di Google che cerchi i risultati per me!”.
Come altri, ricorda poi che nel Paese della Mezzaluna Wordpress.com è vittima ormai da tempo della censura. Secondo il codice penale turco (ancora una volta l’articolo 301) la pubblica denigrazione della “Turchicità”, della Repubblica o di Ataturk, è punibile con la prigione. A causa di questo articolo, fortemente contestato dall’Unione Europea, sono stati perseguiti diversi intellettuali, tra i quali il premio Nobel Orhan Pamuk e lo stesso Hrant Dink.
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Ataturk gay? Un video che i turchi non possono vedere .
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