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giovedì 24 gennaio 2008

Gli ultimi anni di vita della donna che amò Franz Kafka. La scelta di Milena Jesenká contro l’invasione nazista.

Lunedì la presentazione del volume alla presenza dell’autrice Marie Jirásková. Fu arrestata dopo l’annessione dei Sudeti da parte di Hitler. Denunciata e incarcerata perché partecipò alla Resistenza. Un paese tra due dittature che sono diverse nelle fondamenta.

(Francesco Mannoni - Il Messaggero Veneto) Tra i milioni di vittime del nazismo, c’è anche Milena Jesenskà, la giovane amata da Franz Kafka. La donna, morta nel campo di concentramento di Ravensbrück il 17 maggio 1944, per più di tre anni fu amata dallo scrittore che le scrisse appassionate lettere d’amore.
Nata il 10 agosto del 1896 in un sobborgo di Praga, Milena era una giornalista molto apprezzata e sul settimanale praghese La Tribuna, tradusse Lettera al padre di Kafka. Fu l’occasione che li fece incontrare e innamorare. La prima lettera di Kafka a Milena giunta fino a noi è dell’aprile 1920. La loro corrispondenza durò fino al 1923, e anche se la loro relazione forse si interruppe nel 1921, entrambi continuarono a essere attratti fortemente a vicenda e, sia pure tra alti e bassi, si amarono fino alla morte di Kakfa, scomparso nel 1924.
Nel novembre del 1939 Milena fu arrestata con l’accusa di alto tradimento nei confronti del Terzo Reich, per la sua attività giornalistica e l’adesione alle forze ribelli che si opponevano ai progetti tedeschi di «realizzare la germanizzazione del territorio e della popolazione con l’impiego di misure particolari e l’inclusione nello spazio della Grande Germania». Dopo un processo mai concluso e la riconsegna alla Gestapo praghese da parte dei tedeschi, nell’ottobre del 1940 fu destinata al campo di concentramento di Ravensbrück dove conobbe la scrittrice Margarete Buber Neumann, anche lei reclusa, che dopo la guerra avrebbe scritto una toccante biografia della Jesenská. Durante la difficile prigionia, tra mille soprusi, non cedette mai alle repressioni dei suoi aguzzini. Lavorava come magliaia anche con le mani gonfie e le articolazioni doloranti e, quando poteva, faceva di tutto per aiutare le sue sfortunate compagne.
La sua storia, assieme a quella di altri due personaggi dell’epoca, è raccontata dalla studiosa di letteratura ceca Marie Jirásková in Una scelta tradita (Forum editrice, 117 pagine, 14,00 euro). L’autrice, che a sua volta è stata perseguitata dal comunismo, si addentra con particolare attenzione nella vita della sfortunata e intrepida Milena, basandosi su un fitto reticolo documentario dal quale riporta dettagli inediti di una vita sempre vissuta all’insegna dell’indipendenza ideologica.
Abbiamo incontrato Marie Jirásková e le abbiamo chiesto come e perché Milena Jesenská finì nel campo di concentramento.
«Bisogna risalire ai fatti di Monaco del 29 settembre del 1938 – dice – quando Hitler, Mussolini, Chamberlain e Deladier firmarono un accordo per la cessione del tertritorio dei Sudeti alla Germania. Il giorno dopo l’esercito tedesco iniziò a occupare i territori cechi di frontiera e ci furono diversi sconvolgimenti nel governo locale a favore della Germania. Il Paese era stato smembrato a danno di popoli, minoranze, gruppi, eserciti, individui che vedevano il loro destino diventare drammatico. Gli accordi di Monaco tolsero a un piccolo paese la possibilità di difendersi anche perché per molte ragioni non era adatto a una resistenza armata. Questo non impedì il crearsi di formazioni partigiane, che contavano tra le loro file gli appartenenti all’esercito che era stato sciolto e molti civili. Milena affiliata a un gruppo di partigiani, collaborò alla Resistenza con grande partecipazione».
Milena, nonostante la sua attività politica e professionale, sembra però sia ricordata per essere stata amata da Kafka...
«Nel suo paese, come giornalista impegnata, Milena era conosciuta molto più di Kafka ed era stata la prima traduttrice dello scrittore in ceco. Dell’autore delle Metamorfosi non si sapeva molto fino all’uscita nel 1935 de Il Castello, la cui risonanza all’inizio fu modesta. Ma è pur vero, nonostante il suo indubbio valore, che è grazie al carteggio con Kafka che Milena è conosciuta nel mondo. Come storica, con questo libro cerco di dimostrare come fosse una personalità eccezionale anche al di fuori del suo rapporto con lo scrittore, che l’amò molto e disse che lei era “fuoco vivo”. Nel 1923 si scambiarono l’ultima lettera e fu lui a chiederle di non scriverle più. Nel luglio del 1924, l’anno della morte di Kafka, Milena scrisse il necrologio lasciando intendere il suo grande affetto per Kafka e di come solo lei fosse stata in grado di capirlo profondamente».
Ma ci fu davvero una storia d’amore tra Milena e Kafka, o si trattò di platonica esaltazione epistolare?
«Leggendo le lettere, si capisce che si trattò di vero amore. Non sappiamo fin dove si spinsero, ma è chiaro che le loro parole svelano sentimenti profondi, gli stessi che gli innamorati mettono in mostra senza troppe remore quando il bene si impadronisce dei loro cuori e delle loro menti. Benché Kafka e Milena fossero due persone discrete, il senso del loro amore è una sensibilità fluida, una forza emotiva che li avvinceva entrambi. Milena, che aveva un’esperienza matrimoniale fallimentare alle spalle quando conobbe lo scrittore, forse si innamorò di Kafka anche per la sua fanciullaggine affettuosa, per la sua quasi sprovvedutezza sentimentale: amava tantissimo, ma sempre come bloccato da un qualcosa che gli impediva una totale immersione nel bene che lo attirava».
Come fu la vita sentimentale di Milena senza Kafka?
«Dopo il primo matrimonio – infelice e osteggiato dal padre – e il divorzio dal marito che l’aveva portata a vivere a Vienna, Milena tornò a Praga continuando la sua collaborazione con il giornale. Si sposò una seconda volta con un architetto dal quale ebbe una figlia dopo una difficile gravidanza che le costò il posto al giornale e pregiudicò il rapporto con il coniuge. Si iscrisse al Partito Comunista scrivendo per i giornali del partito, e rimase al suo posto anche quando le truppe tedesche entrarono a Praga. In molti le dissero di partire, ma lei volle restare accanto agli amici e colleghi, pronta alla lotta. Fu arrestata il 12 novembre del 1939, con molti dei suoi compagni che, come lei, non sopravvissero alla prigionia».
Cosa resta della memoria di Milena negli archivi della Gestapo?
«Tra i materiali della Gestapo praghese sono conservati solo alcuni documenti degli atti del processo, necessari al procedimento del tribunale popolare di Dresda dove la Jesenská fu giudicata. Il fascicolo conta in tutto una quarantina di pagine. Dagli atti non è possibile capire quale attività clandestina svolgesse la donna, ma solo che era sospettata di scrivere articoli contro il nazismo che causavano inquietudine tra la popolazione. Al processo non si riuscì a giudicarla colpevole di alto tradimento perché mancavano prove vere, ma ciò non impedì, mesi dopo, il suo trasferimento nel campo di concentramento. Forse si era saputo del suo prodigarsi nel convincere i propri amici ebrei a lasciare la Cecoslovacchia prima che i tedeschi li arrestassero».
Perché ha intitolato il libro Una scelta tradita?
«Questo è il titolo italiano. La traduzione letterale del titolo originale, suonerebbe all’incirca “Resoconto succinto di una triplice scelta”. Il sottotitolo Milena Jesenkà e la vigilia della guerra, chiarisce il contenuto dell’opera tesa a raccontare il travaglio di una vita, le scelte politiche di una donna che per il suo paese ha sacrificato tutta la vita. Era in ballo, oltre la libertà, la conservazione della propria identità, il ruolo irrinunciabile di rappresentante del popolo ceco che spesso aveva subito la durezza del tallone straniero e non voleva sottostare ancora una volta alla violenza del più forte».
Anche lei ha conosciuto i rigori della persecuzione, quella comunista in questo caso. Perché fu perseguitata?
«Nel 1970, al convegno degli scrittori cechi fu pronunciato un discorso contro la censura per una maggiore libertà, non solo di stampa. A quel tempo insegnavo in una scuola media superiore e ne parlai con gli studenti, ma ci furono delle proteste studentesche e sospesi le lezioni sui contenuti del convegno. Ero un membro del Partito Comunista ceco, e da tempo volevo uscirne perché non condividevo più diversi suoi atteggiamenti, ma non era possibile. Fu il partito a cacciarmi con l’accusa di essere un’opportunista di destra, e perciò non potevo educare la gioventù. Da allora non mi fu concesso di praticare alcuna attività culturale, e non riuscii a trovare lavoro neanche in un allevamento di polli. Mi trasferii a Praga dove ottenni un posto come custode di un museo e per quasi vent’anni fui regolarmente controllata dai servizi segreti e convocata per degli interrogatori fino al 1989».
Come veniva trattata durante gli interrogatori?
«Per tre anni dal 1980 al 1983, gli interrogatori erano mensili. Come nei romanzi polizieschi, erano in due a interrogarmi: uno era più indulgente, l’altro durissimo. Contro di me non fu mai usata violenza fisica, non mi chiesero mai di collaborare con loro, ma cercavano di abbattermi psicologicamente. L’interrogatorio peggiore fu quello cui era presente una donna molto cattiva che mi aggrediva verbalmente con una violenza impensabile. Dalla sua bocca uscivano fiumi di parole, accuse e offese, un vero letamaio di obbrobri che avevano il compito di annullarmi e farmi cedere a chissà quali rivelazioni, ammettere colpe inesistenti, trame politiche mai vissute. Questa donna fu addirittura ripresa dal compagno perché troppo aggressiva e invitata a moderarsi».
Adesso, cosa pensa del comunismo?
«Sono felice che il regime comunista non esista più e spero che una simile dittatura non abbia più a verificarsi in alcuna parte del mondo. Tuttavia, anche se nella pratica è stato alterato, il comunismo resta una grande ideologia e per questa ragione non voto a destra e mi ritengo molto vicina alle posizioni di centro sinistra

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