Regole contro la legge che vincola gli omosessuali alla «clandestinità. Il provvedimento fu voluto nel 1993 da Bill Clinton come compromesso contro l'esclusione dalle forze armate.
(Il Corriere della Sera) Ci sono quasi 70 mila gay e lesbiche, nell'esercito americano. Servono il loro Paese in Afghanistan, in Iraq, in Libano, negli alti comandi del Pentagono, nelle basi militari sparse ai quattro angoli del pianeta. Ma la loro tendenza sessuale deve rimanere clandestina. Non ne possono discutere, pena l'espulsione dai ranghi. «Don't ask, don't tell», non chiedere, non dire, è la formula che riassume la legge, approvata 14 anni fa, quando venne abolito il bando agli omosessuali nelle forze armate. Un patto scellerato del silenzio, per cui l'esercito non può indagare a condizione che loro stiano zitti.
E' giunto il tempo di eliminare anche quest'ultima ipocrisia. Lo chiedono, in una lettera aperta al Congresso degli Stati Uniti, 28 ex generali e ammiragli americani, sollecitando rappresentanti e senatori a far cadere una discriminazione ormai anacronistica. «Abbiamo dedicato la nostra vita a difendere il diritto dei nostri cittadini a credere in qualunque cosa vogliono» scrivono gli ex ufficiali, secondo i quali gay e lesbiche «hanno servito il nostro Paese con onore».
Tra i firmatari dell'appello è anche il generale John Shalikasvili, capo di stato maggiore al tempo in cui la legge venne varata, dopo un faticoso compromesso tra il Congresso e l'amministrazione Clinton. In un articolo pubblicato all'inizio di quest'anno sul New York Times,
Shalikasvili ha spiegato che «una nuova generazione di americani nell'esercito ha dimostrato che gay e lesbiche possono essere accettati dai loro colleghi». L'ufficiale, che nel 1993 aveva accolto con qualche riserva la decisione dei politici, ora si è detto «convinto che se i gay prestassero servizio nell'esercito dopo aver dichiarato la propria omosessualità, non minerebbero l'efficacia e il morale delle forze armate». Per Shalikasvili, c'è anche una considerazione pratica: i troppi fronti di impegno della U.S. Army, consigliano «di accogliere fra i ranghi qualsiasi americano voglia e possa fare il suo dovere».
L'iniziativa dei generali cade mentre il tema si ripropone al centro della corsa per la Casa Bianca, dove segna una delle divaricazioni più nette tra democratici e repubblicani, i primi decisi ad abolire la legge, gli altri determinati a mantenerla. Il tema dei gay sotto le armi ha messo fra l'altro in difficoltà la Cnn, che ha ospitato il dibattito di mercoledì sera tra i contendenti conservatori. Il network ha infatti invitato a fare una domanda sull'argomento un ex generale, che si è definito «apertamente gay», senza però far sapere che l'ufficiale in pensione lavora per la campagna di Hillary Clinton. I dirigenti della Cnn si sono scusati, ammettendo la scorrettezza.
Non è chiaro se il Congresso democratico darà un seguito all'appello dei ventotto. Il Pentagono ha già detto che eseguirà la volontà dei legislatori: «Non c'è spazio per le opinioni personali, l'importante è avere un legge», aveva dichiarato in marzo Robert Gates. Il ministro della Difesa aveva bacchettato in tal mondo il generale Peter Pace, al tempo capo di stato maggiore, secondo il quale l'omosessualità è immorale e paragonabile all'adulterio.
La legge del 1993 era stata frutto di un accordo molto difficile: fresco di elezione, Bill Clinton, che aveva promesso di aprire le porte dell'esercito a gay e lesbiche, si era dovuto accontentare del «don't ask, don't tell». Nei primi tredici anni della sua applicazione, almeno 10 mila persone sono state costrette a lasciare i ranghi, colpevoli di aver reso pubbliche le loro preferenze sessuali. Nell'ultimo quinquennio però, il numero dei radiati è considerevolmente diminuito, passando dai 1227 del 2001 ai 612 del 2006.
Paolo Valentino Hillary Clinton 60 anni, d'accordo con l'emendamento John McCain 71 anni, contrario a cambiare la legge Michael Huckabee 52 anni, dice no ai gay nell'esercito Ex alleati Bill Clinton e John Shalikasvili, capo di stato maggiore quando la legge fu varata, oggi firmatario dell'appello
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