Oggi l'Italia non è pronta per il "matrimonio gay".
(GayNews) "Di fronte alle dichiarazioni di Massimo D'Alema oggi sulla stampa leggo di reazioni scomposte nel movimento gay. Anche di persone che appartengono al mio stesso partito, come Sergio Lo Giudice, ex presidente nazionale di Arcigay ed oggi componente con me dell'Assemblea Nazionale del PD. Lo Giudice invita D'Alema a guardare alle democrazie europee e non a Teheran, come se tra la soluzione spagnola del matrimonio gay e le condanne a morte per omosessualità del regime iraniano non ci fossero mille sfumature di grigio: quelle del PACS francese, ad esempio, o della soluzione tedesca, o di tanti altri paesi che per il momento non se la sono sentita di optare per la piena parità giuridica delle coppie omosessuali. Credo che la posizione del vicepremier sia invece assolutamente condivisibile: oggi l'Italia non è pronta per il "matrimonio gay" e spingere in quella direzione, anche dall'interno del Partito Democratico, allontana solamente le soluzioni più ragionevoli dei DICO o dei CUS, perchè radicalizza le posizioni. Di tutto abbiamo bisogno, fuorchè che trionfi il massimalismo nel movimento gay e lesbico e che questo trovi pure cassa di risonanza nel Partito Democratico."
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Riponde Ivan Scalfarotto.
Incapaci, presuntuosi (e gay).
In una mailing list di maggiorenti del movimento gay nella quale mi trovo, probabilmente per errore, coinvolto si discute - e qualcuno gli dà pure ragione - delle dichiarazioni di D'Alema.
Questo il mio intervento, due minuti fa.
"Sia ben chiara una cosa. Nessuno qui dentro, o fuori di qui, ha il diritto di disporre dei diritti dei propri concittadini. Il diritto alla piena uguaglianza davanti alla legge e quello alla pari dignità in particolare. Il fatto di essere gay e di fare politica non legittima alcuno di noi a rinunciare a nome di tutti ad alcun diritto, compreso il matrimonio e l'adozione di minori - riconosciuti in moltissimi paesi della cui civiltà giuridica non è lecito dubitare - per nessuno dei gay e delle lesbiche italiane. Se il sindacato siede al tavolo delle trattative e rinuncia per motivi tattici a taluno dei diritti dei lavoratori ha poi almeno il buon gusto di chiamare i lavoratori a referendum. Mi piacerebbe sapere sulla base di quale mandato ci si permette di stabilire a quali diritti, diritti indisponibili, di cittadinanza noi si possa rinuciare a nome di milioni di gay e lesbiche italiani. Nessuno ci ha dato un tale mandato e chi se lo arroga dovrebbe rendersi conto dell'abnormità e dell'arroganza del passo che compie. Io personalmente non ho concesso ad alcuno il diritto di rinunciare a nome mio al diritto di sposarmi e sarà bene che nessuno, qui dentro o fuori di qui, si permetta di rinunciare al mio pieno diritto di cittadinanza senza il mio esplicito consenso. Siamo la comunità GLBT con meno diritti dell'Europa occidentale e chi ha gestito la nostra immagine pubblica e ha fin qui trattato a nome della comunità dovrebbe constatare con onestà intellettuale il fallimento completo della propria linea politica e trarne le opportune conseguenze. L'unica posizione che siamo legittimati a portare avanti è quella dell'assoluta parità di diritti con tutti gli altri cittadini della Repubblica. E' un mandato che affonda le sue radici nella Costituzione, in svariate fonti giuridiche internazionali e in elementari considerazioni di civiltà giuridica. I diritti o ci sono o non ci sono, miei cari, tertium non datur. E noi in Italia non abbiamo uno straccio di diritto. Se Martin Luther King si fosse mosso con il nostro peloso e unilaterale realismo, oggi sarebbe vivo, grasso, con una bella carica pubblica e tutti i relativi benefit, ma i neri non sarebbero ancora ammessi nelle Università dell'Alabama.
Ivan
PS Niente di personale, naturalmente".
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