Matthew Vaughn dirige Charlie Cox e Claire Danes in una storia con Sienna Miller, Michelle Pfeiffer, Peter O'Toole e Rupert Everett.
(Il Corriere della Sera) Esistono ancora le favole? O meglio: c'è ancora qualcuno disposto a starle a sentire (e nel caso di quelle cinematografiche, starle a vedere)? La risposta non è facile, ma la speranza è che Stardust riesca a conquistare quell'attenzione che merita. Foss'anche a dispetto dal suo essere una bella favola.
Ambientata in un passato abbastanza indistinto, forse fine Settecento, forse ancora più indietro nel tempo, Stardust (che all'origine è un romanzo di Neil Gaiman, pubblicato in Italia da Mondadori: da leggere) racconta le disavventure di Tristan (Charlie Cox), un garzone di bottega che nell'animo non si sente per niente «garzone» e che aspira al cuore della bella, ma altera, Victoria (Sienna Miller). Per conquistarla, le promette che sarà capace di portarle la stella cadente che ha appena visto precipitare. E qui inizia la favola. Per prima cosa Tristan dovrà superare il muro che dà il nome al villaggio (Wall) e che ha tenuto separato (e protetto) il paesino e i suoi abitanti dall'universo sovrannaturale di Stormhold che li circonda. Poi dovrà fare i conti con le streghe, i pirati, i principi e tutti gli straordinari abitanti che vivono oltre il muro. Ma soprattutto dovrà scoprire che le stelle cadenti sono in realtà bellissime donne precipitate sulla terra (in questo caso ha il volto di Claire Danes)e che potranno tornare a brillare solo quando il loro cuore tornerà a riscaldarsi. Oltre a sfuggire alle mire della terribile strega Lamia (Michelle Pfeiffer), che vuole strapparle il cuore dal petto per conquistarsi così l'eterna giovinezza. E senza contare che al collo della donna-stella, di nome Yvaine, c'è anche un preziosissimo rubino dal colore cangiante, indispensabile per poter aspirare al trono di Stormhold e per cui si combattono i figli del vecchio re (Peter O'Toole) in fin di vita.
Come si può vedere la struttura del film è quella tradizionale di ogni fiaba che si rispetti: il percorso di «iniziazione» di un giovane che attraverso molte imprese riesce a conquistare la maturità, la fiducia in se stesso e soprattutto a fare chiarezza nel proprio cuore. Ma la sceneggiatura di Jane Goldman e del regista Matthew Vaughn (fino a oggi forse più conosciuto per essere il marito di Claudia Schiffer che per il suo film d'esordio, The Pusher) non calca troppo la mano sui valori «pedagogici» della storia: preferisce invece liberare la fantasia e far vivere al giovane Tristan ogni genere di avventura. Facendo di Stardust una straordinaria cavalcata sulle ali dell'immaginazione.
Scena dopo scena, si capisce che l'impegno del regista è soprattutto nel tratteggiare personaggi e caratteri sorprendenti e stravaganti, anche a costo di perdere un po' di vista la logica della narrazione. La scansione del tempo, fondamentale in ogni favola (anche qui, perché Tristan ha solo sette giorni per portare la stella cadente a Victoria) si perde quasi subito; la lotta fratricida dei sette eredi al trono di Stormhold — Primus, Secundus, Tertius... fino al più determinato e crudele di tutti, Septimus (Mark Strong) — viene risolta con un gusto dell'ellisse compiaciuto e divertente (vedi la repentina entrata e uscita di scena di Secundus, interpretato da Rupert Everett); forse si vorrebbe sapere di più sia delle due sorelle streghe di Lamia, Mormo ed Empusa, sia della mamma «segreta» di Tristan (Kate Magowan) e del perché sia schiava di una «lancia malefici» (Melanie Hill).
Ma il film non lascia allo spettatore il tempo di riflettere su queste possibili «mancanze» perché sullo schermo si apre immediatamente una nuova avventura, dall'esilarante trasformazione di una capra in uomo al «coro» dei fratelli di Septimus condannati a una condizione di fantasmi senza libertà, fino alla geniale invenzione — che nel libro di Gaiman non esiste — di Capitan Shakespeare, cacciatore di fulmini su un vascello volante. E affidando all'istrionismo di Robert De Niro questo ruolo, diviso tra la necessità di superare in cattiveria e brutalità la ciurma e la voglia di dar libero sfogo alla propria componente femminile, il personaggio si staglia nella fantasia dello spettatore che non dimenticherà facilmente la scena in cui, convinto di essere solo, si mette a ballare in guêpière e ventaglio.
Resta da rispondere alla domanda che ponevo all'inizio: c'è ancora un pubblico disposto a dar credito a un film di questo tipo? Istintivamente direi di no: per troppo tempo l'industria cinematografica, con Hollywood in testa, ha appiattito l'immaginario giovanile dentro a schemi previsti e prevedibili, dove la fantasia era una specie di optional da dimenticare. Meglio investire in costosissimi effetti speciali o moltiplicare all'infinito la velocità del montaggio piuttosto che sforzarsi di coltivare l'immaginazione e la libertà creativa. Col risultato che oggi buona parte del pubblico è più reattiva a certi cast altisonanti e a certi effetti destabilizzanti (violenza, adrenalina e sangue su tutto) che alle sollecitazioni della creatività, come è invece la strada che cerca di percorre Stardust. Resta solo la speranza che, tra film popcorn e fiction televisive, il «fanciullino» che ognuno si porta dentro non sia ancora del tutto anestetizzato.
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